Squid Game
Squid Game è la serie Netflix del momento. Nonostante l’assenza del doppiaggio in lingua italiana, è al primo posto nella classifica dei contenuti più seguiti sulla famosa piattaforma streaming, e ha tutte le ragioni per esserlo, perché è una ricetta perfetta.
Dalla sceneggiatura ai costumi, dalla scenografia alla regia, al montaggio, alla recitazione, al suono; ogni ingrediente di questo lavoro è un ingrediente di qualità e si lega perfettamente con tutti gli altri.
Squid Game ha la semplicità di essere un prodotto di interesse ampio e l’intelligenza di nascondere in sé profondi riferimenti psicologici, artistici e sociali.
La trama:
Centinaia di persone, provenienti da storie di vita diverse ma altrettanto disperate, decidono di accettare uno strano invito a partecipare ad una serie di giochi per bambini.
Le regole delle sfide sono semplici, ma la posta in gioco è altissima: chi vincerà potrà partecipare ai livelli successivi, e se arriverà alla fine, potrà portarsi a casa una enorme somma di denaro; chi sarà sconfitto, invece, perderà la vita. Due possibilità, una enormemente allettante, l’altra estremamente spaventosa.
Nessuno è obbligato a giocare, la scelta iniziale di partecipare è volontaria e durante i giochi, se la maggioranza dei partecipanti dovesse decidere che questi devono essere conclusi, tutti potranno tornare alla loro vita di prima, senza costrizioni.
I giochi infantili:
Il gioco è fondamentale per la crescita e per l’apprendimento, perché il gioco permette di sperimentare nuove abilità in modo protetto: ad esempio la scoperta della sessualità passa attraverso il gioco.
Ma il gioco è anche il primo passo verso la conoscenza delle regole sociali e quindi uno strumento di sviluppo morale. Piaget diceva: “ogni morale consiste in un sistema di regole, e l’essenza di ogni moralità va ricercata nel rispetto che l’individuo nutre per queste regole”.
Il primo riferimento psicologico che ho trovato in Squid Game è proprio il legame con la teoria che Jean Piaget ha illustrato nel suo libro “Il giudizio morale del fanciullo”, del 1932.
Interessante è anche il fatto che sia stato scelto, nella serie, di utilizzare tra i vari giochi infantili a disposizione, il gioco delle biglie, e di scegliere di farlo giocare ai partecipanti in una fase avanzata della sfida. Il gioco delle biglie è uno dei giochi che Piaget ha selezionato nei suoi studi, per la sua complessità e la quantità di regole e anche per il fatto che è un gioco in cui le regole possono anche essere decise dai bambini stessi.
In una sfida in cui in palio c’è la vita o la morte, inserire questo gioco verso il termine della “programmazione” è molto significativo. I personaggi sono vicini alla meta del premio in denaro, si sono strutturate alleanze e legami, e proprio in questa fase viene loro data la possibilità di scelta morale, dove la moralità non è solo riferita a una condotta generica, ma dove può essere minata dalla necessità di sopravvivenza a tal punto da spingere ad andare contro a propri valori fondamentali, e a scegliere tra sé e le relazioni significative.
Questa è una delle tante scelte intelligenti che caratterizzano questa serie, ed è chiaro che non si tratta di una decisione casuale, ma studiata per creare una narrazione sempre più evoluta dal punto di vista emotivo.
Le regole dei giochi infantili e le regole del gioco adulto, le regole rispettate e le regole violate, le regole imposte e le regole che possono essere scelte soggettivamente, il senso morale in piena maturazione o non pienamente sviluppato, la moralità raggiunta ma minacciata dalle circostanze. Questo potrebbe bastare per rendere Squid Game un prodotto qualitativamente elevato, ma c’è molto altro.
Le dinamiche di gruppo:
Uno dei temi più importanti affrontati da questa serie è quello del processo attraverso il quale si strutturano i gruppi e le dinamiche che si creano all’interno dei gruppi. La presenza di un gruppo che organizza e decide le regole delle sfide e applica le “punizioni” non è sufficiente a creare un reale nemico esterno, in quanto la situazione che i personaggi vivono è solo parzialmente costrittiva. Essere lì, sottostare a queste regole, è una scelta personale, per quanto dipendente da circostanze di scelta disperate.
I partecipanti ai giochi hanno un obiettivo individuale: vincere, sopravvivere e prendere il cospicuo premio in denaro. Questo obiettivo diventa però parzialmente e provvisoriamente condiviso, perché la sopravvivenza dipende anche dalla condivisione di momentanei obiettivi comuni (ad esempio per i giochi di squadra) e dal bisogno di protezione dalle possibili aggressioni da parte di altri partecipanti.
Ecco allora che si costituiscono dei gruppi, più gerarchici (bisogno di avere una guida, un leader forte) o più egualitari (basati sulla cooperazione). Talvolta però la cooperazione è la maschera dell’agonismo, talvolta la cooperazione viene meno per l’esigenza di tornare a vestire i panni individualistici, perché l’autoconservazione torna a prevalere su tutto.
I sistemi motivazionali interpersonali:
Non si può parlare di relazioni e di gruppi, senza parlare anche di sistemi motivazionali interpersonali, se si assume un’ottica cognitivista. Due sistemi li ho già citati: la cooperazione paritetica e l’agonismo ritualizzato. In Squid Game questi due sistemi si alternano e a volte si sovrappongono (nel senso che l’agonismo a volte si traveste da cooperazione), perché la situazione che i personaggi della serie vivono è estrema.
L’agonismo ritualizzato a volte viene sostituito da mandati più arcaici di quelli relazionali. Non servono a nulla i segnali di resa laddove “mors tua” è “vita mea”. Il debole o lo sconfitto non rimane parte del gruppo, secondo schemi gerarchici, ma viene soppresso.
Si vedono anche aspetti seduttivi della sessualità sociale, giocata come strategia, per chi è più debole, di offrire il suo corpo al leader del gruppo percepito come più forte, per ottenere la sua protezione.
Ma non mancano neppure manifestazioni di attaccamento e relativo accudimento, nelle situazioni di vulnerabilità che necessariamente emergono nel corso della storia.
Il cervello tripartito
Protagonista della serie è anche il diverso livello di funzionamento tracciato da P.D.MacLean in senso evolutivo circa la struttura del nostro cervello.
Abbiamo parlato dei mandati rettiliani e in particolare di quello della sopravvivenza, che nelle sfide che i personaggi di Squid Game devono affrontare è talvolta giocato sull’attacco dell’avversario, che si spinge fino alla morte di quest’ultimo.
Abbiamo anche parlato dei mandati relazionali del cervello limbico e dei sistemi motivazionali interpersonali di agonismo ritualizzato, sessualità sociale, attaccamento – accudimento e cooperazione paritetica (G.Liotti).
Ma in questa serie c’è anche tantissima neocorteccia: pensiamo ad esempio al sacrificio altruistico che supera appunto “neocorticalmente” il fortissimo mandato rettiliano della sopravvivenza.
Tutti i personaggi della serie sono disposti a rischiare la propria vita per avere una possibilità di uscita dalla loro disperazione e ritrovare la dimensione del significato esistenziale; allo stesso tempo, se ognuno dei volontari della sfida è disposto a rischiare la sua stessa esistenza per cercare l’opportunità di avere una nuova vita, degna di essere vissuta, non tutti sono disposti a passare sulla vita degli altri per fare questo.
Chi è il più forte? Chi quello con la maggiore capacità di adattamento, nella accezione darwiniana? Il finale di questa prima stagione ci dà una risposta chiara.
I numeri:
I numeri sono protagonisti di questa narrazione. Ognuno degli sfidanti porta un numero sulla divisa che va da 1 a 456. L’1 è il primo e il 456 l’ultimo entrato nel gioco. Il significato di primo e ultimo è fondamentale nella morale della storia, e verrà compreso solo alla fine della stessa. Questa scoperta finale è una vera e propria bomba a livello semantico. L’ultimo grande regalo di una sceneggiatura di grande spessore.
I numeri scorrono sul tabellone per tutta la durata della storia: scende il numero di partecipanti rimasti in gioco e quindi in vita, spesso in modo massivo e inesorabile, e parallelamente salgono i numeri che rappresentano la cifra del premio finale, ben visibile anche per la discesa di mazzi di banconote nel grande salvadanaio trasparente a forma di maiale appeso al centro della stanza, discesa scandita da un suono distintivo. Rinforzo positivo. Vi ricorda qualcosa la parola condizionamento?
Ai numeri si associa anche il concetto di “troppo“. Troppo e troppo poco. Troppe persone uccise. Troppo poche rimaste. Troppa ricchezza, troppa povertà. Il troppo e il troppo poco che rendono ugualmente infelici.
La violenza
Sono molti i lavori che non sono stati compresi nel loro profondo valore, almeno non da tutti, e Squid Game è secondo la mia opinione uno di questi.
Dal 1971 a oggi si è sentito spesso parlare di Arancia Meccanica (grande capolavoro di Stanley Kubrick tratto dal libro omonimo di Anthony Burgess) come di un film gratuitamente violento. Un film, e prima di tutto un libro, che in realtà era una denuncia contro la società liberticida. Meglio essere buoni per costrizione o cattivi per scelta? Era un po’ questa la domanda che questa opera artistica poneva al lettore o spettatore.
In questi giorni si legge di tutto sui social, in merito a questa serie coreana, estremamente discussa. È violenta, dà un messaggio sbagliato, è nociva. Spero con questa mia analisi di aver mostrato che solo una lettura superficiale e non consapevole del suo messaggio può portare a questo tipo di conclusioni. Riuscire a vedere la complessità dietro all’apparente semplicità di questo lavoro può aiutarci ad apprezzare il valore artistico di questa serie, che personalmente ritengo geniale.
C’è tanta morale, tanto sentimento, tanta umanità in questa prima stagione di Squid Game e spero vivamente che questa narrazione continui in stagioni successive e ci regali ancora tanta consapevolezza e tante emozioni.
A volte, attraverso la rappresentazione della violenza, si possono trasmettere significati simbolici di grande valore e spessore. Allo stesso modo rappresentazioni apparentemente ingenue e patinate possono far passare messaggi molto negativi.
L’arte
Squid Game ha anche una profonda qualità estetica. Le maschere, i costumi, le ambientazioni, sono curate nei particolari in modo estremamente efficace.
La bellezza infantile e allo stesso tempo inquietante della bambola di “1-2-3 stella”, le bamboline che suonano e cantano le melodie nell’appartamento del direttore del gioco, le divise del personale, con le maschere che portano i simboli della play station rendendo facilmente riconoscibile allo spettatore la loro gerarchia (il quadrato è superiore al triangolo e al cerchio), le scale che portano ai giochi, che ricordano una versione colorata e brillante dei quadri di Escher.
Un universo artistico e simbolico ricco, quello di questa serie, che non so se ho colto in tutte le sue sfaccettature, ma che ho provato a raccontarvi, a mio modo.