Psychofilm

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Film psicologici e psicologia spiegata attraverso il cinema

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Contro un iceberg di polistirolo

Contro un iceberg di polistirolo è l’ultimo film dell’esalogia di Pupi Oggiano, proiettato in prima assoluta qualche giorno fa presso il Cinema Massimo di Torino. Una serata sorprendente e divertente, o meglio sorprendentemente più divertente del previsto (vista la premessa del traffico, del diluvio e dei parcheggi impossibili), corollata dalla presenza di tutti i protagonisti principali di questa lunga e audace avventura cinematografica (regista, attori, sceneggiatori).

Presente all’evento anche la rappresentante della casa editrice che ha pubblicato le novelization dei sei film della saga, Buendia Books, sempre attenta alle opere originali e un po’ “fuori dalle righe”, che ha curato, tra l’altro, l’edizione di un libro di racconti di genere noir e thriller scritto da me e due coautrici, dal titolo Psicoporno – Dodici racconti alla ricerca di Eros.  

C’era anche l’attrice Ilaria Monfardini, amministratrice di un gruppo Facebook per gli amanti dei film horror a cui partecipo da tempo, sempre ricco di interessantissimi suggerimenti cinematografici per gli horrorcinefili.

Insomma, una grande rete di persone che amano il cinema e la scrittura, o meglio, ormai una vera e propria famiglia estesa, si è riunita mercoledì scorso per celebrare la chiusura di un lavoro complesso, fatto di 6 film, 6 novellizzazioni e 6 cd di colonne sonore, curate dallo stesso Oggiano.

Ovviamente c’ero anche io, ed è venuto il momento di chiudere il cerchio aperto con il mio articolo “666 è il numero di Pupi Oggiano”, a cui mancava il gran finale.

Contro un iceberg di polistirolo è l’ultimo di sei film, che raccontano diverse storie, tra loro apparentemente diverse ma strettamente collegate.

Ogni elemento di questi film, dalla scenografia, alla sceneggiatura, ai personaggi (i cui stessi nomi, talvolta, svelano dei significati anagrammatici) è ricco anche di altre storie (ad esempio i copiosi riferimenti e omaggi ad altre opere cinematografiche); da ogni film, inoltre, sono stati tratti dei racconti letterari, mescolando arti e modalità espressive diverse, e le pellicole trattano dei generi diversi, che spaziano dalla fantascienza, all’horror, al thriller, con una punta di leggerezza e ironia che sfiora la commedia.

Gli stessi titoli dei film sono narrativi, perché compongono una frase di senso compiuto:  La paura trema contro / Ancora pochi passi / Nel ventre dell’enigma / E tutto il buio che c’è intorno / Svanirà per sempre / Contro un iceberg di polistirolo.

Veniamo alla protagonista di questa esalogia, contenuta nel primo titolo.

La paura è un’emozione che spesso viene avvertita come negativa, ma non sempre. Se la paura fosse sempre negativa, inutile dirlo, non ci sarebbero persone che amano i film dell’orrore o i giri sulle montagne russe.

La paura, quindi, può essere un’emozione positiva, quando non rappresenta un pericolo reale, quando è finzione o quando è vissuta all’interno di un’esperienza relativamente sicura. Essere buttati giù da un ponte è diverso da fare bungee jumping (la differenza sta nell’essere legati a un elastico o meno): entrambe le situazioni fanno accelerare il battito cardiaco, ma le diverse aspettative sulle presunte conseguenze rendono la prima esperienza terrorizzante e la seconda, ovviamente se volontaria, spaventosamente divertente.

È la stessa differenza che c’è tra terrore e orrore. Il terrore presuppone la presenza di un coinvolgimento diretto della persona (la persona stessa vive o assiste a una minaccia reale per la vita), mentre l’orrore si riferisce a eventi che non coinvolgono il soggetto o persone a lui vicine, ma altri (personaggi di finzione o persone sconosciute).

Proviamo terrore se qualcuno ci rincorre con una motosega, mentre proviamo orrore se vediamo Faccia di Cuoio con lo stesso arnese che rincorre le sue vittime, o una notizia spaventosa trasmessa dal telegiornale.

La paura vera è essere su una nave che si scontra con un iceberg, ma possiamo gestire la paura se l’iceberg contro cui andiamo a scontrarci è di polistirolo.

È un po’ questo il messaggio che ho recepito dall’esalogia di Oggiano, ovviamente la mia è un’interpretazione soggettiva, ma mi sembra che la paura e l’esorcizzazione della paura siano il fulcro del processo creativo del regista.

Perché ho visto in questi film questo specifico tipo di semantica? Principalmente per due motivi, che mi appresto ad elencarvi.

I personaggi di ogni episodio della saga rappresentano le nostre principali paure.

Quali sono le cose che ci spaventano di più? Quelle che si trovano nello spazio dell’ignoto. Abbiamo paura di ciò che non conosciamo, di ciò che non ci è familiare e di ciò che non possiamo vedere, prevedere o controllare.

I protagonisti dei sei lungometraggi incarnano gli stereotipi di paura che il cinema di genere horror ha ampiamente raccontato: l’alieno (o a volte il mostro), il diavolo, l’assassino, e la morte. Queste entità, però, per come sono dipinte in questa narrazione, hanno caratteristiche molto più umane che occulte: mostrano un agonismo tra di loro quasi infantile, commettono errori da sprovveduti e dilettanti, sono impacciati e caricaturali. Questo aiuta chi li guarda ad averne meno paura, perché li rende più familiari, più vicini alla nostra natura che al sovrannaturale.

In Contro un iceberg di polistirolo, si aggiunge poi un nuovo rappresentante dell’ignoto, il destino, che stabilisce con una spunta chi va avanti e chi no. Se inizialmente sembra non essere simile agli altri, più determinato e meno impacciato, alla fine si unisce a loro, come a dire che neanche di lui bisogna preoccuparsi, soprattutto perché abbiamo molto più controllo di quanto pensiamo sul suo corso.

La cosa più interessante di questo ultimo capitolo, è aver dato spazio a una paura che nei film horror è poco rappresentata ma che è una delle paure più grandi dell’essere umano, e anche delle più complicate, dato che presenta in sé una forza attrattiva e una repulsiva, pari solo a quella della morte: il cambiamento.

Mi è piaciuto molto che la paura del cambiamento sia stata rappresentata attraverso la terapia psicologica, fonte importante di crescita e cambiamento. Tutti i partecipanti alle sessioni di gruppo sembrano voler cambiare qualcosa o smettere di fare qualcosa nella loro vita. E molti di loro vengono uccisi. Questo è simbolicamente un modo per raccontare la paura di cambiare, che spesso va di pari passo con la voglia di cambiare.

Interessante anche che il titolo dell’episodio più psicologico della saga comprenda l’immagine di un iceberg, che Freud utilizzava per rappresentare la parte conscia (quella visibile sopra la superficie dell’acqua), più ridotta in “dimensioni” rispetto a quella inconscia (sommersa). La metafora freudiana può essere spiegata, in termini più moderni, dicendo che l’origine dei nostri problemi attuali è spesso sommersa, non visibile e comprensibile a noi, a meno che venga esplorata, attraverso un percorso personale.

Il regista, gli attori, gli sceneggiatori: sono loro gli artefici della paura nei film. Se li vedessimo al lavoro, mentre recitano, montano e smontano, riprendono e fanno i ciak, non avremmo tanta paura. Immaginate di vedere Clara Calamai mentre sorseggia un caffè e parla con Dario Argento del tempo piovoso, tra una scena e l’altra.

La stessa cosa sarebbe vedere che un incubo non è altro che una rappresentazione teatrale. Si apre una tenda che rivela che la stanza dei tuoi brutti sogni è solo un palco che ospita una finzione.

Tutto il buio che c’è intorno, allora, svanirà per sempre.

È questo ciò che succede allo spettatore di Contro un iceberg di polistirolo: si accendono le luci, si smontano le scenografie, i diavoli e gli alieni tornano ad essere delle persone normali, i morti non sono morti, gli incubi non sono incubi e la paura svanisce, non tREMA più contro.

È ciò che accade normalmente quando il film finisce e si accendono le luci del cinema: si torna alla realtà e non si ha più paura. È quello che è successo a noi, nella sala del Cinema Massimo, lo scorso mercoledì, ma ben prima che arrivassero i titoli di coda, questa volta.

Mi è venuta in mente, proprio mentre sto scrivendo, la reazione dei primi spettatori della Settima Arte, quelli che videro un treno nello schermo e pensarono che li avrebbe travolti. L’immagine era quella di un treno e si muoveva come un treno. Ma il treno non era veramente lì.

Questo tipo di paura da fine Ottocento non la proviamo più, neanche con il cinema 3D, perché siamo consapevoli di essere di fronte a una finzione; però mai del tutto. I film ci sanno catturare, ci fanno entrare nello schermo e anche se siamo qui, consapevoli del nostro corpo seduto sulla poltrona, siamo anche un po’ lì.

Pupi Oggiano si è voluto assicurare in modo molto netto che non fossimo travolti dal treno della paura, non solo esorcizzandola con un po’ di ironia, ma anche mostrando chiaramente la finzione cinematografica, dove un iceberg non è un vero iceberg, ma un’installazione di polistirolo.

Voglio concludere questa lunga riflessione spezzando una lancia verso il povero Metallo, che almeno in questo articolo ho riconosciuto come “quinto elemento”.

Metallo ha rivendicato la sua appartenenza a due gruppi, ma ha incontrato un certo ostracismo. Ha provato a farsi riconoscere come elemento naturale al pari di Acqua, Terra, Fuoco e Aria, ma non ci è riuscito.

In Contro un iceberg di polistirolo ha poi cercato di essere accettato come quinto elemento tra i personaggi portatori di morte, e anche in questo caso è stato contestato.

Metallo pare essere fuori luogo in tutta questa storia. Poverino, vuole solo essere parte degli elementi, vuoi che siano i quattro elementi o i quattro personaggi, lui vuole essere il quinto. E come dargli torto? In fondo le armi che l’assassino usa sono di metallo, così come il forcone del diavolo o la falce della morte, e anche gli alieni usano astronavi fatte con lo stesso materiale.

Per quanto riguarda gli elementi naturali, Metallo secondo me non ha bisogno di chiedere nessun riconoscimento, dato che li ha già dominati, solcando i cieli e la terra, attraversando i mari e forgiandosi nel fuoco.

Sarà poca cosa, caro Metallo, ma spero apprezzerai che come premio di consolazione, in questo articolo, ti ho fatto entrare come quinto elemento ad honorem.

Laura Salvai

Sono psicologa, psicoterapeuta a orientamento cognitivo-comportamentale, sessuologa clinica e terapeuta EMDR. Amo le storie e mi piace scriverle, leggerle, ascoltarle e raccontarle. Sono la fondatrice del gruppo Facebook "PSYCHOFILM" e la proprietaria di questo sito. Il cinema è per me una grande passione da sempre, diventata con il tempo anche uno dei miei principali impegni professionali.