Mammina cara
Mammina cara è un film biografico (basato sul libro omonimo di Christina Crawford) che racconta la storia della relazione perversa tra l’attrice Joan Crawford (diva hollywoodiana di fama internazionale) e la sua figlia adottiva.
É certamente un cult movie del genere psicologico, che non perde mai il suo fascino, ogni volta che lo si guarda. Faye Dunaway interpreta magistralmente la parte, costruendo un personaggio dall’impatto fortissimo. Ogni battuta è un pugno nello stomaco e lo spettatore si trova a provare empaticamente il terrore paralizzante della bambina di fronte alla madre, imprevedibile e spaventante.
Le scene sono dipinte in modo forse volutamente eccessivo, la mimica della protagonista è estremamente accentuata, e questo fa sì che il personaggio recitato da Faye Dunaway risulti estremamente folle e sadico.
La donna è ossessionata dalla pulizia, dall’ordine e dai rituali di bellezza; è preda di profondi scatti d’ira incontrollata ed è estremamente distruttiva. In una scena del film, taglia con furia tutte le rose del giardino. Come una regina cattiva della peggior fiaba, sembra voler distruggere tutto ciò che è bello.
La storia si svolge in un periodo di tempo abbastanza lungo, che parte dall’infanzia di Christina fino alla morte della madre. L’uscita di scena della donna è l’ennesimo colpo basso verso i figli adottivi (Christopher è un personaggio più sullo sfondo rispetto a Christina, ma è un bambino altrettanto traumatizzato, che assiste impotente ai continui episodi di violenza sulla sorella); entrambi vengono esclusi dall’eredità, per motivi che la donna, nel testamento, sostiene loro conoscano bene.
Joan Crawford è una diva amatissima, con un’immagine pubblica fuori da ogni sospetto, che mal sopporta il lento declino professionale e lo sfiorire della sua bellezza. Christina è l’immagine della freschezza e della gioventù e oserà anche intraprendere la carriera di attrice, sfidando così la madre. Questa cercherà di boicottare la figlia in ogni modo, anche rubando la sua parte in una serie televisiva.
L’agonismo è l’assetto principale nel quale è posta la relazione tra madre e figlia. Sono molto d’impatto la scena in cui la madre sfida in una gara di nuoto la piccola Tina, non permettendole mai di vincere, e la scena in cui le taglia i capelli, in quanto la bambina ha osato usare i suoi trucchi e civettare la donna.
La relazione genitore-figlio è completamente snaturata: l’accoppiamento attaccamento-accudimento non sembra essere presente, e la vocazione genitoriale dell’attrice non pare derivare da un genuino istinto materno, ma piuttosto da un capriccio (poter avere ciò che vuole e ciò che la natura le ha tolto, la possibilità di procreare) e dal fine di ottenere una facciata di rispettabilità di fronte al pubblico, costruendo una vita affettiva finta, per le copertine dei giornali.
Ancora più dell’agonismo, sembra attivo nella donna il sistema più “primordiale” di attacco, cieco a tutti i segnali di resa della bambina.
La piccola è preda della furia della madre, che la sottopone a profonde umiliazioni, torture psicologiche (come quando le mette per giorni la stessa carne nel piatto e le dice che se non la mangerà non potrà mangiare nient’altro) e incomprensibili attacchi di violenza, come quello della famosa scena delle grucce di ferro, in cui Joan sveglia Christina nel cuore della notte urlando, lanciandole vestiti e picchiandola:
Joan: “Noooooo, perché? Io te l’ho detto! Niente grucce di ferro! Che ci fanno le grucce di ferro in quest’armadio? Io te l’ho detto! No! Perché? Non le voglio! Che ci fanno? Io lavoro dalla mattina alla sera e la gente dice che mi sto invecchiando, e a casa che cosa trovo? Una figlia… una figlia che se ne frega della madre, che tiene ai bellissimi vestiti che io le regalo quanto tiene a me! Che cosa ci fanno le grucce di ferro in quell’armadio? Rispondimi! Io ti compro continuamente dei bellissimi vestiti e tu? E tu li tratti come se fossero degli strofinacci! Sissignora! Un vestito che è costato trecento dollari su una gruccia di ferro! Vediamo, vediamo.. vediamo quante grucce di ferro hai quassù, vediamo, vediamo! E alzati da quel letto! Tutta questa roba via, via, fuori! Fuori! Fuori! Fuori!“.
Tina: “Mammina, per favore…“
Joan: “Fuori, fuori, fuori! Vediamo quante grucce di ferro tieni nel tuo armadio…Grucce di ferro! Perché? Perché? Perchè? Cristina alzati da quel letto! Tu vivi nella casa più bella di Brentwood e non ti importa un accidenti di quei vestiti! Si deformano tutti con le grucce di ferro, con le grucce di ferro! La tua camera sembra una stanza da due dollari alla settimana, in una volgare strada di paesetto dell’Oklahoma! Alzati, alzati e raccogli quella roba! Hai strofinato il pavimento del bagno, oggi? L’hai fatto“?
Tina: “Sì mammina“.
Joan: “Sì mammina… cosa“?
Tina: “Sì mammina cara“.
Joan: “Quando ti ho insegnato a chiamarmi così, volevo che tu lo pensassi anche! Vieni qui! Guarda! Guarda questo pavimento! Guarda questo pavimento! Tu me lo chiami pulito? È pulito”?
Tina: “Miss Jenkins ha detto che era pulito“.
Joan: “Miss Jenkins ha detto che era pulito? Per te sarebbe pulito? Tu credi che sia pulito? Guarda, guarda, guarda qui, è pulito? È pulito“?
Tina: “Sì, per me sì“.
Joan: “È sporco! È sporco! Lo puliremo insieme. Lo puliremo insieme il pavimento. Tu e io insieme! Forza! Forza! Strofina forte! Strofina! Pulisci, pulisci, pulisci“!
Tina: “È pulito“.
Joan: “Non è vero! Questo pavimento non è pulito! Non è pulito! Non è pulito! Non è pulito! Niente è pulito! È un porcile! Un porcile“!
Tina: “Ti prego mammina, non fare così“.
Joan: “Voglio che pulisci questo porcile“!
Tina: “Come?“
Joan: “Arrangiati da sola“!