Psychofilm

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Film psicologici e psicologia spiegata attraverso il cinema

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Elvis

Elvis di Baz Luhrmann non ha vinto neppure una statuetta agli Oscar 2023, eppure aveva ben otto candidature, tutte meritatissime (attore protagonista, costumi, film, fotografia, montaggio, scenografie, sonoro, trucco e acconciature).

Certo, i film in concorso erano tutti di eccezionale qualità e il giovane attore protagonista Austin Butler, benché abbia fatto una interpretazione straordinaria, se l’è dovuta giocare con un incredibile Brendan Fraser (The Whale) vedendosi sfuggire il premio come miglior attore protagonista, che sarebbe stato anche per lui meritatissimo.

Ci consolano due cose: la prima è appunto che la statuetta sia andata nelle mani di Fraser, la seconda è che la giovane età di Butler fa ben sperare che questa nomination non sarà l’ultima, visto il talento dimostrato nel vestire i panni di un protagonista gigantesco come “The King”.

Elvis Presley è stato raccontato in molti modi, attraverso una serie di film, articoli e libri biografici che hanno messo in luce aspetti diversi della sua vita e che talvolta sono stati davvero poco generosi con “Il Re”.

Uno di questi è stato la controversa biografia “Elvis Presley” di A.Goldman (1983). Goldman non descrisse nel suo libro solo la vita di questo incredibile cantante dal punto di vista della carriera musicale, ma raccontò anche la sua storia familiare e analizzò in modo particolareggiato la sua personalità, il suo modo di agire e di affrontare i problemi esistenziali, e il suo modo di amare. Dalle righe del suo “dis-omaggio” a Elvis trapelano un profilo psicologico di dipendenza patologica, un grave disturbo alimentare, un disturbo dell’umore e un disturbo di personalità (di tipo narcisistico).

“Il suo famoso costume, che all’inizio era poco più di una veste da camera, era stato elaborato attraverso innumerevoli rimaneggiamenti che, alla fine, l’avevano trasformato in una specie di abito regale. Gli astratti schemi decorativi si basavano su immagini tipiche dei totem: una tigre arancione e nera, un pavone blu e oro, un calendario di pietra dell’epoca maya, una piramide azteca, un arcobaleno. […] Egli portò sempre il collo rialzato, alla Napoleone, una corta e ampia cappa elisabettiana, un’alta cintura da gladiatore.” (A.Goldman – “Elvis Presley”)

La biografia di Goldman descrive un uomo pervaso dalle manie di grandezza, sempre alla ricerca di ammirazione, scarsamente empatico nei confronti delle persone, che spesso sfruttava, eppure alla continua ricerca dell’amore ideale, invidioso dei successi degli altri, soprattutto di altri cantanti e musicisti dell’epoca, e con una scarsa tolleranza alla frustrazione e un discontrollo della rabbia.

Non prendiamo alla lettera quanto descritto da Goldman perché definire la sua biografia come poco gentile è il minimo. Certo, non è difficile pensare che Elvis sia stato un uomo che ha manifestato grandi sofferenze e che ha ampiamente utilizzato quello che in Schema Therapy viene chiamato mode di coping “Autoconsolatore distaccato” (in questo caso: allontanare le emozioni negative attraverso l’uso di farmaci, o attraverso il rapporto disfunzionale con il cibo). La sua storia di vita è stata infatti pervasa da eventi traumatici e il suo talento lo ha spesso portato ad incontrare persone che si sono approfittate delle sue fragilità per i loro interessi.

La fine tragica di Elvis, morto all’età di 42 anni, è attribuibile alla sua vita sregolata, caratterizzata da eccessi alimentari e abuso di psicofarmaci, ma un contributo alla sua folle corsa autolesionistica può essere imputabile anche alla compiacenza delle persone che lo circondavano, in particolare quella dei medici che aveva al suo servizio e al suo manager, il Colonnello Tom Parker (proprio sul rapporto complicato di Elvis con lui si concentra il film di Baz Luhrmann). Anche il Colonnello Parker mostra di avere un mode di coping autoconsolatore, le sue scelte professionali sono state influenzate dalla sua dipendenza dal gioco d’azzardo e tali scelte hanno inciso sul destino della sua star più importante.

Tutte le persone che vivevano con Elvis o lo frequentavano avevano sempre assecondato le sue condotte disfunzionali, alcuni perché lo veneravano e non osavano contraddirlo, altri, come i medici che gli prescrivevano psicofarmaci e stimolanti e glieli iniettavano, perché non volevano perdere i privilegi conquistati, soprattutto in termini economici, prestando il loro servizio al grande e ricco “Re del Rock”. Nonostante fosse circondato da moltissime persone, Elvis fu lasciato solo, portando a termine, così, il suo lento processo di autodistruzione.

Era il 1977, quando Elvis Presley fu trovato morto nel bagno della sua villa a Memphis (Graceland), dalla sua fidanzata Ginger Alden. La sua morte fu attribuita a un infarto. La ragione della morte di Elvis doveva essere ricercata nel suo stile di vita, ma anche nell’essere circondato da gente disposta a fare qualunque cosa per proteggere la propria posizione e coltivare i propri interessi personali.

“Sono i cortigiani che uccidono il re”

Elvis Presley nasce a Tupelo, Mississipi, l’8 gennaio del 1935. La madre, Gladys Love Smith, era incinta di due gemelli, ma il primo nasce morto e solo Elvis sopravvive al parto. La nascita dei due gemelli era stata vissuta come un evento molto gioioso dalla donna, ma si trasformò presto in un momento fortemente traumatico: non solo Gladys perse uno dei suoi figli tanto attesi, ma il dottore la informò anche che, da quel momento, non avrebbe più potuto avere figli.

Il fantasma del fratello mai nato di Elvis, aleggiava per la casa: la madre parlava incessantemente di lui, dicendo ad Elvis che la sua personalità si era trasferita in lui dopo la morte.

Quando Elvis aveva solo due anni, la nonna materna morì di tubercolosi. Oltre a questo dolore aggiuntivo, Gladys Smith dovette sopportare anche la lontananza del marito Vernon, che dal giugno del 1938 all’inizio del 1941 scontò una pena detentiva per truffa. Una volta rilasciato, l’uomo andò a lavorare in una fabbrica di armi a Memphis, lasciando che la moglie si occupasse di Elvis durante tutta la settimana lavorativa e tornando a casa solo la domenica.

Gladys, rimasta sola, iniziò ad avere un attaccamento morboso per il figlio: era iperprotettiva, stava male ogni qualvolta Elvis si trovava in qualche situazione di pericolo, non lo lasciava mai con nessuno e vigilava ogni suo movimento. Elvis dormì nel letto della madre fino quasi alla pubertà. Il suo attaccamento a Gladys era fortissimo, e la sua morte sarà un evento di grande impatto sulla sua già fragile esistenza.

A sedici anni Elvis iniziò a frequentare una scuola professionale a Memphis, dove la sua famiglia si era trasferita. Era un ragazzo molto stravagante e il suo abbigliamento e le sue pettinature gli procurarono molti guai con i compagni di scuola.

La sua scalata verso il successo avvenne quasi per caso: a soli dieci anni Elvis vinse il secondo premio ad un concorso per giovani talenti. Anni dopo, un’insegnante del liceo lo convinse ad esibirsi in uno spettacolo scolastico ed Elvis, nonostante la sua timidezza, riuscì ad accaparrarsi i consensi del pubblico.

Nel 1953 Elvis entrò in uno studio di registrazione: era curioso di sentire come sarebbe stata la sua voce registrata e, allo stesso tempo, voleva incidere delle canzoni da regalare alla madre in occasione del suo compleanno. Il suo talento fu molto apprezzato e, nel 1954, il proprietario della sala di incisione lo chiamò per una vera e propria seduta di registrazione. Le canzoni di Elvis furono trasmesse in una stazione radiofonica e riscossero un immediato consenso da parte degli ascoltatori.

Al culmine della sua carriera, Presley era diviso tra concerti, studi di registrazione, radiofonici e cinematografici. Lo stress legato alla frenetica attività lavorativa aumentò le sue fragilità. La separazione dalla moglie Priscilla fu un altro evento estremamente doloroso per il cantante, anche se l’ex moglie non smise di stargli vicino.

Elvis detiene ancora oggi i record di vendita di dischi per un cantante solista. Questo film lo farà scoprire o riscoprire a molte persone. Lo merita, perché rimane una delle più grandi icone mondali della musica.

Avevano ragione quelli che dicevano che non era davvero morto, non perché lui fosse o sia ancora tra noi, ma perché la sua musica, il suo essere avanti su questioni sociali importanti (l’amore per la black music in un’epoca di segregazione razziale), la sua sensibilità artistica, il suo uso del corpo come forma di rottura, ribellione ed emancipazione (no, non è stato Forrest Gump a insegnargli i movimenti pelvici, anche se ci piace questa immagine fantasiosa e che sia proprio stato Tom Hanks a interpretare Parker), il suo essere unico, rimarranno sempre nella nostra storia.

Grazie Elvis!


Laura Salvai

Sono psicologa, psicoterapeuta a orientamento cognitivo-comportamentale, sessuologa clinica e terapeuta EMDR. Amo le storie e mi piace scriverle, leggerle, ascoltarle e raccontarle. Sono la fondatrice del gruppo Facebook "PSYCHOFILM" e la proprietaria di questo sito. Il cinema è per me una grande passione da sempre, diventata con il tempo anche uno dei miei principali impegni professionali.