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Profondo Rosso: ancora? Perché? Me lo chiedo e lo chiedo anche al bambino urlante

Profondo Rosso: ancora? Perché? Due domande lecite dato che in questi giorni il film del maestro Dario Argento è tornato nelle sale italiane a 48 anni dalla sua uscita.

Ancora? Perché? Sono due domande tra loro strettamente collegate: non ci sarebbe un ancora se non ci fossero dei precisi perché. Risponderò a queste domande in modo strettamente personale ed intimo, ma non per questo non condivisibile da altri appassionati di questo capolavoro del cinema. E le porrò anche a uno dei protagonisti della pellicola, Jacopo Mariani (il bambino urlante o se preferite il piccolo Carlo).

Perché sono andata a rivedere Profondo Rosso al cinema dopo averlo visto un centinaio di volte e perché ancora mi emoziona, anche se ormai conosco tutti i dialoghi a memoria?

Vi confesso che in un primo tempo della mia vita mi imposi di vederlo e rivederlo. La mia è stata una mossa controfobica, una esposizione graduale a uno stimolo che mi aveva terrorizzata alla prima visione, avvenuta troppo precocemente (senza saperlo, avevo già in me il seme della psicologa che sarei diventata, dato che usai inconsapevolmente uno stratagemma cognitivo-comportamentale per affrontare la mia paura).

Avevo circa dieci anni, ero quasi coetanea del più famoso bambino protagonista (il mio asso nella manica, che è qui con me), e amavo già i film horror, i gialli, i noir e i thriller e spesso li guardavo di nascosto la sera tardi, quando in casa tutti dormivano. Ma non quella volta. Profondo Rosso lo vidi in compagnia di una persona adulta, perché insistetti fino allo sfinimento. Mi pentii quasi subito della mia audacia, alle prime scene, alle prime note, ma non lo volli ammettere. Ebbi incubi per molto tempo, notti insonni e sudori freddi sotto le coperte per un lungo periodo, dopo quella prima visione. Non riuscivo a passare di fronte allo specchio barocco del corridoio di casa mia senza che mi si attivasse il sistema di allarme interno.

Solo successivamente alla mia strategia di coping del trauma iniziale l’ho rivisto con piacere. Ma ora? Ancora? Perché?

Profondo Rosso ancora perchè e il bambino urlante

A proposito, mi sono sempre chiesta una cosa: come deve essere stato recitare in un film così terrificante per un bambino che aveva, all’epoca della realizzazione, più o meno la mia stessa età alla mia prima esperienza nel rosso dipinto di rosso? Finalmente mi sono tolta il dubbio, e l’ho chiesto proprio a lui:

Non mi sono assolutamente traumatizzato, anzi, ero ansioso di vedere tutti gli effetti, dal sangue finto in poi… Nonostante la mia età, ebbi il mio copione come tutti, ed ero a conoscenza della trama del film e di tutti i vari delitti previsti dalla sceneggiatura. Comunque devo anche dire che stare sul set non è la stessa cosa che vedere il prodotto finito, c’è una grossa differenza anche nel vederlo al cinema o sul piccolo schermo. (Jacopo Mariani)

Un bambino coraggioso, mi consola un po’ sapere che non è stato un trauma per te, ma sappi che per lungo tempo ti sono stata solidale, pensando che la tua sfida fosse stata molto più dura e spaventosa della mia.

Torniamo alla mia esperienza di visione sul grande schermo. Innanzitutto qui c’è la prova del mio “oops I did it again”:

Profondo Rosso al cinema

Come potete vedere mi sono meritata ad honorem la fila L (iniziale del mio nome) e il posto 10 (mio mese di nascita), e tutto ciò è avvenuto casualmente, dato che il biglietto l’ho acquistato alla cassa e non ho scelto nè la fila e nè la poltrona.

L’ho visto ancora, ebbene sì, e lo rivedrò certamente anche in futuro perché Profondo Rosso riesce sempre a farmi sentire quel pizzicore al cuore, che non è più una tachicardia o una serie di jumpscare, è più una stimolazione sorda che acuta, dato che ormai l’effetto sorpresa è svanito da tempo.

Vi faccio un esempio: le lunghe sequenze girate all’interno di villa Scott. So perfettamente che quelle scene non esitano in nulla di drammatico e sanguinario, eppure mi mettono ancora un po’ di paura. Perché? Perché sono costruite per spaventare, nei minimi dettagli.

Mi viene in mente la sequenza in cui Marc viene ripreso di spalle, con l’imponente dimora storica di Torino di fronte a sé . Poi la telecamera si sposta sul davanti e fa un primo piano del protagonista, per poi stringersi sui suoi occhi e infine su un occhio solo. Una serie di frame potentissima.

Questa lunga scena non è solo un capolavoro di regia, ma anche di suoni e musiche (magistralmente curate dai Goblin). Le scarpe che pestano i calcinacci, creando uno scricchiolio inquietante, la musica che si ferma quando Marc mette un piede su dei pezzi di vetro, poi il cigolio di una finestra che si apre e di nuovo la musica terrificante che irrompe nei meati uditivi dello spettatore. Un’alternanza di silenzi e apoteosi sonore che creano un effetto di tensione continua.

Anche Lars Von Trier, in tempi più recenti, ha usato l’effetto dei silenzi e dei suoni per scuotere e sorprendere ma ha scelto, anziché l’alternanza, il crescendo (dalla totale deprivazione sensoriale dello spettatore al frastuono della musica industrial metal dei Rammstein – vd. Nymphomaniac vol.I).

Jacopo, prima di proseguire sui perché e ancora, voglio chiederti come sei finito a recitare nei film di Dario Argento, perché dopo due anni da questa prima esperienza hai recitato anche in Suspiria, del 1977.

Premetto che vengo da una famiglia di artisti, dove ho conosciuto molti personaggi, grazie ai miei genitori. Nonostante la mia età (nove anni) decisi di intraprendere la via del cinema, cosa che i miei non obiettarono. Dopo la mia prima esperienza con il regista Aldo Lado, mi presentai per il provino di Profondo Rosso. Dario mi scelse subito per due motivi: il primo perché avevo sembianze nordiche (mia madre era danese) il secondo perché, proprio perché avevo una madre nordica, ero già molto autonomo. (Jacopo Mariani)

Profondo Rosso il bambino urlante

Profondo Rosso è anche ancora “avanti”. Perchè? Perché dipinge donne forti (Gianna) o addirittura psicopatiche e sadiche (che dire, oltre che dell’assassina, anche della bambina torturatrice di lucertole?) e uomini sensibili e fragili. Che c’è di strano? Che erano gli anni Settanta e che gli stereotipi di genere non sono ancora stati superati quasi 50 anni dopo.

E il protagonista che dice che non gliene frega niente dei gusti sessuali dell’amico Carlo, quando scopre la sua relazione omosessuale? Che bella quella scena, sarebbe meraviglioso se a nessuno fregasse di che orientamento sessuale è una persona, o di che colore ha la pelle, o di che nazionalità è, o se ha i tatuaggi o no, o se …

Attori strepitosi, colonna sonora ineguagliabile, regia straordinaria, sceneggiatura psicologicamente disturbante. Profondo Rosso è un’opera che ha cambiato il cinema e lo ha influenzato fortemente (anche recentemente, Pupi Oggiano ha fatto del maestro Dario Argento il suo ispiratore).

Dopo decine di visioni, ancora mi chiedo come possa essere stato creato un film così, ma non mi chiedo più perché sia un cult o perché sia ancora un film di successo, tanto da tornare nelle sale cinematografiche, come aveva fatto prima di lui Arancia Meccanica di Stanley Kubrick (altro cult intramontabile).

Profondo Rosso è un film sempreverde. Forse sarebbe meglio usare un neologismo, questa confusione di colori è un po’ fastidiosa. Un semprerosso, da guardare ancora e ancora, perché ci va, perché lo amiamo.

Tu Jacopo cosa ne pensi?

Perché ancora oggi si apprezza la sua visione? Come molti film, anche Profondo Rosso ha segnato un’epoca cinematografica, tale da creare attorno a sé un numero di appassionati e amanti del genere. Il cinema è arte! (Jacopo Mariani)

Sono d’accordo, e l’arte non tramonta mai. Grazie Jacopo!

Laura Salvai

Sono psicologa, psicoterapeuta a orientamento cognitivo-comportamentale, sessuologa clinica e terapeuta EMDR. Amo le storie e mi piace scriverle, leggerle, ascoltarle e raccontarle. Sono la fondatrice del gruppo Facebook "PSYCHOFILM" e la proprietaria di questo sito. Il cinema è per me una grande passione da sempre, diventata con il tempo anche uno dei miei principali impegni professionali.