Psychofilm

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Film psicologici e psicologia spiegata attraverso il cinema

Recensioni

Midsommar

Midsommar è un film del 2019 scritto e diretto da Ari Aster, che vidi al tempo della sua uscita, rividi a distanza di tempo per piacere, e che ho rivisto per la terza volta ieri, per rinfrescarmi la memoria emotiva ai fini di questa recensione. Perché ho deciso solo ora di scrivere di questa opera horror così singolare e complessa? Perché Midsommar è un film che va metabolizzato, che porta a lunghe riflessioni e che ancora oggi è molto controverso.

Negli ultimi tempi, mi è capitato di parlarne alcune volte su dei gruppi Facebook dedicati al cinema, suscitando delle reazioni talvolta decisamente avverse alla pellicola, talvolta addirittura avverse a chi, come me, la citava come rappresentativa di un certo genere o argomento. Questa cosa mi era successa anche in passato, ma non ci avevo fatto caso, l’avevo catalogata come normale differenza di gusti. L’arte suscita spesso opinioni ed emozioni diverse in chi ne fruisce.

È noioso, è fatto male, è lento, non mi è piaciuto affatto, non riesco a digerirlo, che barba questi post su sto film, non riesco proprio a farmelo piacere, sono i commenti negativi più carini che ho avuto modo di leggere nel tempo, ma ne ho letti di decisamente peggiori, talvolta sfocianti nell’offensivo. Allora, per la prima volta, mi sono chiesta: perché?

Non perché non sia piaciuto, ma perché sia piaciuto a me.

E per la prima volta ho cercato delle risposte a questa domanda, delle risposte che voglio condividere con i miei lettori, nella speranza di poter stimolare una riflessione costruttiva e, perché no, magari far vivere l’esperienza di visione in modo diverso o più positivo.


Dal buio alla luce

La prima originalità di questo film è l’aver saputo creare un’atmosfera fortemente disturbante in un modo del tutto inaspettato ma estremamente efficace. Midsommar inizia con modalità tipiche per un film dell’orrore: le prime scene sono girate in luoghi chiusi, grigi, e le poche immagini all’aperto dipingono un paesaggio buio, freddo, invernale. Poi tutto cambia, e la maggior parte della storia si svolge all’aperto, non in un bosco fitto o in un luogo claustrofobico o difficilmente accessibile, da cui a fatica si può fuggire, ma in una pianura di prati verdi, orizzonti aperti, fiori colorati e sotto una luce costante e calda, quasi accecante.

Midsommar il villaggio dei dannati

Gli abitanti della Comune svedese, con cui il gruppo di amici si trova a trascorrere le vacanze, sono vestiti con abiti di un bianco brillante, puro, e hanno dei volti dai lineamenti quasi angelici, che non possono allarmare lo spettatore dal punto di vista fisiognomico, come tipicamente accade nei film di genere.

Mi è piaciuto perché: Midsommar è un horror atipico, alla luce del sole, con colori vividi e scene naturali di grande bellezza.


Distante-vicino

Midsommar gioca con percezioni visive contrastanti, che creano un effetto di disturbo attraverso la distanza e vicinanza. Lo spazio aperto in cui vive la comunità è caratterizzato da pochi elementi architettonici, separati tra di loro da grandi distanze. L’edificio piramidale in cui si celebrerà il rito sacrificale finale è quello più lontano, più diverso dagli altri, anche per il colore, di un giallo acceso. Gli spazi comuni, all’interno delle strutture in legno, sono invece più ridondanti di particolari. Ad esempio la piccola stanza in cui Christian viene convocato è soffocante, bassa e opposta agli immensi spazi aperti esterni. I muri presentano delle decorazioni molto fitte, che rendono ancora più claustrofobica e allucinogena la scena.

Mi è piaciuto perché: Midsommar è un horror dove non ci sono elementi naturali di costrizione fisica e in cui si gioca tra distanza e vicinanza, tra spazi aperti e luoghi chiusi, tra libertà e costrizione.


Lento-veloce

Un altro aspetto originale e perturbante di Midsommar è la contrapposizione tra la lentezza del film e la velocità di alcune scene. Partiamo dalla lentezza, che ritengo personalmente essenziale per il mantenimento di un disturbo costante dello spettatore: siamo abituati alle informazioni rapide, alle sequenze veloci, e questo film richiede uno sforzo di attenzione considerevole e continuo che risulta fastidioso e forzato. Ma a volte la regia ci stupisce, perché opera dei cambiamenti repentini, come accade ad esempio nella scena del salto temporale di Dani, dal bagno di casa al bagno dell’aereo, o nel passaggio dalla calma alle scene traumatiche e di grande impatto visivo, come quella del primo rito, che mostra improvvisamente la parte più oscura delle tradizioni della comunità.

Mi è piaciuto perché: Midsommar alterna lentezza e momenti di puro shock, passando da una tensione costante e sorda a dei momenti di rottura acuti e fortemente traumatici.


Nessuno fa ciò che vuole fare

Uno degli aspetti disturbanti di Midsommar è che il film inizia con il dipingere delle relazioni-gabbia in cui nessuno fa ciò che vorrebbe fare. Christian è infastidito da Dani e vorrebbe chiudere la storia con lei, ma non ci riesce. Quando Dani viene colpita dalla tragedia famigliare dell’omicidio-suicidio perpetrato dalla sorella, affetta da disturbo bipolare, il ragazzo si sente ancora più costretto a rimanere nella coppia. Dani, da parte sua, ha mille indizi sulla tossicità della sua relazione con lui, ma continua a scendere a compromessi, a cercare l’appoggio di lui, nonostante la sua palese distanza emotiva.

Christian ha organizzato in gran segreto la vacanza con il suo gruppo di amici, ma quando Dani scopre casualmente che ha intenzione di andare con loro in Svezia per un mese e mezzo, lui la coinvolge nel viaggio, sperando che alla fine lei scelga di non partire.

Quando il gruppo decide di assumere delle sostanze allucinogene, Dani mostra di non voler partecipare, ma poi cede a una pressione interna a conformarsi, nella costante ricerca di appartenenza.

“Ogni cosa, meccanicamente, fa la sua parte”, dice un personaggio del film.

Mi è piaciuto perché: Midsommar è un horror che si basa sul disagio provocato dalle relazioni umane disfunzionali e sui meccanismi delle dinamiche di gruppo, dove ogni elemento è un ingranaggio che “meccanicamente fa la sua parte”.


Appartenenza e non appartenenza

Midsommar è un film che parla di appartenenza e non appartenenza. Dani è una ragazza esclusa, all’inizio: dalla famiglia, che cerca di tenere insieme da fuori; dalla sorella, che prende una decisione terribile e gliela comunica in modo altrettanto terribile (“Mamma e papà vengono con me”). Fortissima la scena in cui viene inquadrato il cadavere della sorella con il tubo in bocca sigillato con il nastro adesivo e il pc con le mail mai lette di Dani.

Dani non sente neanche di appartenere alla relazione di coppia e mostra il tipico imbarazzo del senso di esclusione quando è nel gruppo degli amici di Christian.

In Svezia, sarà estremamente chiaro chi appartiene alla comunità e chi no. I vestiti dei turisti spiccano in modo quasi fastidioso in mezzo agli abiti bianchi degli abitanti del luogo.

È a questo punto che tutto si ribalta: Christian e gli altri ragazzi non si integreranno mai alla gente del posto, pur professandosi mentalmente aperti ai loro usi e costumi. Sarà Dani invece a trovare finalmente un senso di appartenenza e a essere accolta come parte della famiglia estesa della Comune.

Mi è piaciuto perché: Midsommar è un horror che parla di appartenenza, e trasmette in ogni momento la sensazione di appartenere o non appartenere a qualcosa dei suoi protagonisti.


La paura dell’ignoto

Un altro ingrediente straordinario di Midsommar, è la tensione costante che il film crea, nonostante, anzi grazie anche, alla lentezza della storia. Il gruppo di amici entra in una comunità che sta celebrando una ricorrenza particolare, che viene festeggiata ogni novant’anni ed è composta da una serie di riti. Di questi riti, nessuno conosce le tappe, né in che modo verrà coinvolto. Questo crea la necessità da parte dello spettatore di mantenere uno stato d’allarme costante, in particolare dopo che il primo rito si è compiuto. Lo shock del suicidio dei due anziani, e la visione dei loro volti schiacciati è fortissimo, e ci si attende, dopo una tale premessa, che possano accadere ancora molte cose orribili nel corso delle cerimonie successive.

Mi è piaciuto perché: Midsommar è un horror che fa sperimentare quella forma di paura che non è legata a una minaccia reale e contingente ma alla non conoscenza. Si teme ciò che non si sa, ciò che è ignoto o non si è ancora svelato.


Il lutto

Midsommar è un film che parla di lutto, non solo declinato nella morte dei familiari di Dani ma anche nel senso della separazione. La storia tra lei e Christian diventa un graduale processo di elaborazione del lutto, che sfocia in un esito inaspettato. Dani riesce a separarsi, ma lo deve fare in modo netto, fisicamente, per poterlo fare emotivamente.

Il lutto traumatico iniziale di Dani passa attraverso il nuovo processo di elaborazione, lo contamina come passaggio intermedio: le scene traumatiche vissute all’interno della Comune si trasformano nelle immagini dei suoi familiari morti, in una transizione dal buio alla luce, per poi scomparire e fare spazio a un nuovo processo di elaborazione, quello della separazione da Christian. Dani perde ogni legame significativo, improvvisamente o gradualmente, per poi ricollocare il suo bisogno di appartenenza e di legami all’interno di un nuovo gruppo sociale che si definisce come “famiglia”.

Mi è piaciuto perché: Midsommar è un horror che parla del complesso processo di elaborazione del lutto, del passaggio attraverso il dolore e della ricollocazione di ciò che si è perso in qualcosa, qualcuno, o più elementi che ne possano prendere il posto o la funzione.  


Empatia ed emozioni

La storia che Midsommar racconta è fortemente incentrata sull’empatia e sulle emozioni. Un’empatia che è assente, per gran parte del film, in particolare verso Dani. Non c’è connessione emotiva tra lei e Christian e Dani sembra l’unica a esprimere delle emozioni, a mostrare la sua parte vulnerabile agli altri. I ragazzi, per un momento scioccati dalle tradizioni della comunità, sembrano poi rientrare velocemente in un atteggiamento di freddezza, razionalizzazione e distacco emotivo, a differenza di Dani.

La ragazza mostrerà solo per qualche secondo del film una mancanza di emozioni e di empatia, quella in cui opererà una scelta inaspettata. Poi tornerà a soffrire, e a sorridere.

Midsommar - Il villaggio dei dannati

La distanza e il distacco non sono solo tra gli elementi che compongono l’ambiente, di cui ho parlato prima, ma anche verso gli eventi che accadono.

Anche gli abitanti del villaggio sembrano essere freddi, ma il loro è un atteggiamento culturale. Accettano che tutto possa e debba finire: la vita, i legami. Fa parte del loro rispetto verso il ciclo vitale. Ma ci sono dei momenti in cui mostrano una profonda connessione emotiva con gli altri, tanto da diventare cassa di risonanza della sofferenza individuale. Un esempio è la scena in cui Dani soffre per quello che ha visto fare al fidanzato e tutte le donne si mettono a urlare con lei, oppure quando la comunità mima le grida di dolore e il contorcersi delle vittime sacrificali durante il rogo, o ancora le urla di piacere durante l’atto sessuale che vengono imitate dal gruppo di donne che sta assistendo all’accoppiamento rituale.

Mi è piaciuto perché: in Midsommar l’orrore principale è la mancanza di emozioni, di empatia, di connessione emotiva, mostri ben più spaventosi di qualunque creatura soprannaturale.


Midsommar è un film complesso, che spiega come la normalità sia una definizione culturale: ciò che è inimmaginabile in una società può essere accettato in un’altra. È un film audace, perché stravolge i canoni dell’horror e perché sconvolge attraverso lo scardinamento di tabù fondamentali.

Midsommar lascia straniti e turbati durante e dopo la sua visione e questa è una prova della sua qualità: è un film che fa riflettere, che ha la dignità per stimolare a più di una visione e che a ogni visione aggiunge qualcosa, anziché toglierlo. Si notano nuovi particolari, nuovi contrasti.

È un film altamente simbolico e tratta temi sociali e psicologici forti: la vecchiaia, la solitudine, il lutto, le ferite di attaccamento nella coppia, il fondamentalismo religioso, il suicidio, la malattia mentale, il trauma, per citarne alcuni.

Ci sarebbero molte altre cose da dire su questo film, ma per alleggerire un po’ il mio discorso ho deciso di concludere con un aneddoto personale. Premetto che il Midsommar o festa di mezza estate viene davvero celebrato in Svezia, ogni anno. Certamente in modo meno angosciante di quanto sia stato descritto in questo film, ma si tratta di una tradizione realmente esistente.

Più di vent’anni fa fui invitata a casa di una ragazza svedese che lavorava in Italia, per celebrare con lei il Midsommar. Un po’ come i personaggi della pellicola, non sapevo bene cosa mi aspettasse. Mi trovai a tavola, a casa sua. Di fronte a me un bicchierino in vetro e un asse di legno. Sull’asse mi servì aringhe in scatola e nel bicchiere mi versò shottini di Vodka. Un’aringa, uno shottino, un’aringa, uno shottino. L’acqua non era possibile averla, perché ritenuta un’aberrazione. Un po’ di orrore, in questa festa, l’ho sperimentato anche io, in fondo.

Laura Salvai

Sono psicologa, psicoterapeuta a orientamento cognitivo-comportamentale, sessuologa clinica e terapeuta EMDR. Amo le storie e mi piace scriverle, leggerle, ascoltarle e raccontarle. Sono la fondatrice del gruppo Facebook "PSYCHOFILM" e la proprietaria di questo sito. Il cinema è per me una grande passione da sempre, diventata con il tempo anche uno dei miei principali impegni professionali.