Dogman di Luc Besson
Dogman di Luc Besson è un film meraviglioso. Meravigliosa l’interpretazione di Caleb Landry Jones, meravigliosi i protagonisti a quattro zampe, meravigliosa la fotografia, meraviglioso il montaggio e meravigliose la storia e la sceneggiatura: ogni frase pronunciata dai personaggi lascia il segno, rimane indelebile nella memoria e scalda o ghiaccia il cuore. A partire dalla frase di inizio film, rubata al poeta francese Alphonse De Lamartine:
“Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane”.
Ecco, io già a partire dalla lettura di questa prima perla, ho iniziato a lacrimare. Ma non ci badate, io per i cani ho un debole, come per le persone che hanno sofferto, e in questo straordinario racconto ci sono tutte e due le cose. Quindi mi sono preparata, sapevo già che la visione di questo film avrebbe chiesto gli straordinari alle mie ghiandole lacrimali. E così è stato.
[Attenzione: spoiler]
La storia inizia con tutto l’orrore del mondo: una famiglia che è poco descrivere come disfunzionale, con un padre e un fratello psicopatici e una madre abbandonica; tre personaggi che segnano per sempre la vita del protagonista, interpretato nella versione infantile da Lincoln Powell.
Il piccolo Doug (che non a caso ha nel diminutivo solo una “u” in più di “dog”) viene rinchiuso dal padre e dal fratello in una gabbia, insieme a dei cani. Questa parte della narrazione si ispira a un fatto realmente accaduto, come al solito la realtà supera qualunque fantasia. Pare infatti che Luc Besson abbia preso spunto per la storia del suo protagonista da una notizia letta su un giornale, che raccontava la vicenda di un bambino di cinque anni, seviziato e rinchiuso in una gabbia dalla propria famiglia.
I due uomini adulti di casa non si limitano, ovviamente, a lasciare il bambino nel sudiciume, senza sufficiente nutrimento, ma gli fanno anche violenza psicologica e fisica.
Il povero Doug uscirà dalla gabbia grazie all’aiuto dei suoi cani (“Il loro amore mi ha salvato la vita migliaia di volte”), ma non con le sue gambe. A causa di una lesione alla schiena, procuratagli proprio dal padre, la libertà acquisita verrà subito compensata da una libertà persa: quella di muoversi e camminare.
Ma Doug non si fa schiacciare da nulla, ha una capacità di resilienza infinita, nonostante i molteplici traumi che nella vita ha subito, e subirà ancora. Terribile la scena in cui la madre butta dentro la gabbia in cui era rinchiuso del cibo e, valigia nella mano, lo saluta e se ne va, salvando se stessa dalla violenza domestica ma non il suo bambino.
Doug vivrà nuovamente il trauma dell’abbandono quando Salma (interpretata da Grace Palma), una ragazza che lo istruisce e gli accende l’amore per la letteratura e il teatro durante il suo soggiorno in un istituto, partirà alla ricerca di successo e lo lascerà di nuovo da solo. Doug si attaccherà alla sua immagine e al suo ricordo per sopravvivere, ma Salma sarà destinata a far crollare anche questa illusione.
Ci si aspetta che Doug, dopo tutto il male che le persone gli hanno arrecato, soprattutto quelle da cui avrebbe dovuto ricevere amore e accudimento, possa aver sviluppato qualche forma di patologia mentale. E invece no. Doug, come dice lui stesso alla psichiatra carceraria Evelyn (interpretata da Jojo T. Gibbs), non è malato, è stanco.
Devono esserci pur state, allora, delle relazioni riparative nella sua vita, altrimenti non si spiegherebbe la sua capacità, non solo di badare a se stesso e rimanere integro, ma anche di prendersi cura degli altri (anche se il suo modo di sopravvivere e di aiutare le persone può essere ritenuto discutibile, per la legge e la morale, il sapore della legittima difesa ce l’ha tutto, per questo i suoi atti sono comprensibili e giustificabili agli occhi dello spettatore).
Le relazioni correttive ci sono state, eccome, ma non sono state quelle con gli umani. La sua è stata una full immersion nella pet therapy. I suoi cani, o meglio, i suoi bambini, come li chiama lui, sono stati la sua salvezza psicologica. Doug ama i cani più delle persone, perché “I cani hanno bellezza senza vanità, forza senza insolenza, coraggio senza ferocia e tutte le virtù che hanno gli umani senza nessuno dei loro vizi. Per quanto ne so io hanno soltanto un difetto: si fidano degli umani”.
Dogman di Luc Besson è un film che spazia dal genere horror (per la storia infantile di Doug), al drammatico, all’azione, alla fiaba (con una carica di 65 cani, anziché 101); ma Dogman è soprattutto un film umano, ed estremamente poetico.
Un film che, come ho detto prima, ti scalda e ti ghiaccia il cuore. Per me, uno dei migliori del 2023.