Le conseguenze dell’amore
[Attenzione Spoiler: vengono svelati particolari della trama]
L’amore per il cinema è qualcosa che accomuna, unisce e crea affinità. Il mio gruppo Facebook Psychofilm mi ha permesso di conoscere molte persone con cui creare sinergie, scambi culturali e nuove collaborazioni. Quando poi gli interessi comuni sono due, la psicologia e i film, non può che nascere qualcosa di interessante, come in questo caso. Sono felice, oggi, di presentarvi la collega Laura Lambertucci, e di ospitarla sul mio blog con questo articolo, che è solo l’inizio di una fertile e certamente duratura collaborazione.
Una collega appassionata che si è avvicinata al mio gruppo con grande delicatezza e portando sempre dei contributi preziosi. Cosa faremo insieme? Seguiteci e lo saprete presto. Intanto leggete questa bellissima recensione e state connessi!
Laura Salvai
“Forse sedermi a questo bancone è la cosa più pericolosa che ho fatto in tutta la mia vita”
(Titta Di Girolamo)
Un tappetto mobile trasporta lentamente un fattorino, rigido come un manichino, che tira con sé una valigia. La canzone dei Lali Puna “Scary World Theory” suona in sottofondo. Così si apre il film “Le conseguenze dell’amore” di Paolo Sorrentino (2004).
Poi di improvviso la scena cambia: il rumore della valigia che scorre al termine del tappetto mobile sembra congiungersi col rumore dello shaker di una giovane e affascinante barista. Cambia l’ambientazione, entrano nuovi personaggi in scena quasi come fossimo in teatro e, di quel fattorino con la valigia, sembrano perdersene le tracce, quasi fosse stata solo un’immagine onirica.
Ora siamo nel bar di un albergo; un uomo con il papillon, con accanto due ragazze, fissa eccitato la barista. Vicino alla vetrata, all’angolo, c’è un uomo che fuma, dando le spalle al bar, apparentemente indifferente a quanto gli accade intorno. È Titta Di Girolamo, protagonista del film, che si presenta subito allo spettatore attraverso la voce dei suoi stessi pensieri: “La cosa peggiore che può capitare a un uomo che trascorre molto tempo da solo, è quella di non avere immaginazione. La vita, già di per sé noiosa e ripetitiva, diventa in mancanza di fantasia uno spettacolo mortale. Prendete questo individuo con il papillon: molte persone nel vederlo si divertirebbero a congetturare sulla sua professione, sul tipo di rapporti che intrattiene con queste donne; io invece, vedo davanti a me solo un uomo frivolo. Io non sono un uomo frivolo, l’unica cosa frivola che possiedo è il mio nome: Titta Di Girolamo”
Poi irrompe un’altra scena, che sembra anch’essa onirica: una carrozza funebre passa fuori dalla vetrata della hall. Tutti, attirati dal rumore di zoccoli dei cavalli, la guardano con una certa apprensione e, alla fine anche Titta, vedendo tutti rivolti verso la vetrata accanto a cui è seduto, si gira a guardare, per poi riprendere a scrivere su un taccuino.
Titta si presenta fin da subito come un uomo misterioso che porta con sé un segreto inconfessabile. Di questo segreto all’inizio ne abbiamo solo sentore e qualche indizio. Lo scorrere del film, pian piano, tesse la tela della sua vita, rivelandoci a poco a poco dei frammenti, attraverso i suoi stessi pensieri, fino al momento in cui anche i fatti irrompono sulla scena.
Titta è un uomo di 50 anni che da 8 anni vive in un albergo in Svizzera. È un uomo di calcolo, estremamente abitudinario anche nella sua unica evasione, che risulta in realtà del tutto programmata: da 24 anni, una volta a settimana, ogni mercoledì, alle ore 10, si inietta eroina e, una volta l’anno, si sottopone a un costoso procedimento di lavaggio completo del sangue.
Le uniche interazioni che sembra avere sono quelle con il direttore dell’albergo per saldare il conto ogni mese, e con due anziani nobili decaduti, un tempo proprietari dell’albergo, Carlo e Isabella, con cui gioca ad asso piglia tutto, l’unico gioco di carte, imparato da ragazzo, che conosce, tra l’altro facendo finta di non accorgersi del barare di Carlo. Titta soffre, inoltre, di insonnia da 10 anni e passa le notti ad ascoltare, dalla porta della camera dei due anziani, i loro discorsi in cui elencano tutti gli averi persi da Carlo al gioco. Carlo non vuole morire in albergo, vorrebbe andare in Cambogia come sempre ha desiderato e morire in maniera “rocambolesca”, perché la sua vita è sempre stata uno spettacolo, ma la moglie lo invita a rassegnarsi. Inoltre per morire in modo rocambolesco ci vuole coraggio, come dice lo stesso Titta; il coraggio che sembra mancare a lui stesso, che si trascina passivamente dallo scorrere delle giornate.
I due anziani, pur nella loro problematicità, posseggono qualcosa che Titta non ha ma che vorrebbe: un amore incondizionato (Isabella ha sempre accettato il marito pur nei suoi vizi), e il desiderio di Carlo di non subire un destino che sembra ineluttabile.
Tornando al discorso sulle relazioni, Titta sembra invece ignorare la giovane barista, Sofia, che più volte tenta un dialogo con lui, che però lui non incoraggia, non rispondendo nemmeno quando lo saluta. In realtà la sua indifferenza è solo apparente e soprattutto difensiva. Emblematica è la scena in cui Sofia, prima di smontare dal lavoro, lo saluta e Titta al solito non risponde, ma la osserva mentre sale in macchina insieme a un ragazzo (“I timidi notano tutto, ma sono molto bravi a non farsene accorgere”); Sofia lo sorprende proprio nel momento in cui il suo sguardo è verso di lei, Titta lo distoglie subito e riprende a scrivere su un taccuino: “Progetti per il futuro: Non sottovalutare le conseguenze dell’amore”; scopriamo quindi come il suo distacco sia in realtà un modo per controllare i sentimenti che prova verso Sofia, considerati un pericolo in quanto lo espongono al suo tema doloroso: la paura di non essere amato.
Di Sofia non sappiamo molto; non sappiamo nemmeno se è innamorata di Titta: ciò che la muove verso di lui sembra piuttosto una curiosità, unita a una voglia di sedurlo e, allo stesso tempo, di farlo uscire finalmente allo scoperto.
La prima parte del film mostra quindi l’esistenza monotona e noiosa di Titta in questo albergo anonimo, un non-luogo sospeso dove niente sembra succedere. Esprimere le emozioni non è una cosa che Titta sembra in grado di fare. Gli unici riferimenti a un passato affettivo ci vengono da una foto in una cornice appoggiata sul comodino della sua stanza, che ritrae una donna e tre ragazzi: sono la sua ex-moglie e i suoi figli. Titta telefona loro, ma la sua ex-moglie lo liquida frettolosamente e i suoi figli non vogliono parlare con lui o, se accade, la comunicazione è anaffettiva e fallimentare.
Si accenna al fatto che lavora per una grossa società di intermediazione finanziaria ma di questa attività non sembra esserci traccia nella prima parte del film, fino a quando una donna misteriosa con occhiali scuri non lascia una valigia in camera sua. Titta scende allora nel garage dell’albergo e si mette alla guida di una macchina verso una banca; scopriamo quindi che la valigia contiene nove milioni di dollari, che Titta fa contare interamente a mano dagli impiegati, perché “non bisogna mai smettere di avere fiducia negli uomini. Il giorno che accadrà, sarà un giorno sbagliato”.
La visita del fratellastro Valerio, di quasi venti anni più piccolo di lui, è l’unico evento della prima parte del film che balza dalla sua routine e, in un certo senso, la rompe, probabilmente dando una spinta a quel cambiamento che da tempo cova Titta e che presto lo attraverserà.
Valerio è l’opposto del fratellastro, è un istruttore di surf, un superficiale secondo Titta, un seduttore (non esita a uscire con Sofia), a cui piace una vita movimentata da vagabondo. Durante l’incontro con Titta, sono due le cose che accadono e colpiscono l’attenzione. La prima è quando Valerio parla di Dino Giuffrè, quello che un tempo era il loro vicino di casa; la musica irrompe a sottolineare lo sguardo di Titta che da assente e annoiato al parlare del fratello, si fa subito attento perché, anche se non si vedono e sentono da venti anni, “Dino Giuffré è il mio migliore amico e basta! Quando si è stati amici una volta, lo si è per tutta la vita”, cosa che Valerio liquida come “una cazzata”.
Altro momento significativo è quando, in presenza di Valerio, Sofia reagisce con una sfuriata all’ennesimo mancato saluto di Titta, scuotendolo dal suo costante torpore.
Salutato allora Valerio che riparte, Titta a quel punto fa una cosa che spezza in due la narrazione e segna l’inizio di un’escalation di eventi, che danno un ritmo del tutto diverso al film: Titta si siede al bancone del bar di Sofia. “Forse sedermi a questo bancone è la cosa più pericolosa che ho fatto in tutta la mia vita”, dichiara a Sofia e, in effetti, lo sarà.
Quel gesto finalmente coraggioso crea infatti una rivoluzione, in quanto segna l’aprirsi di Titta all’incertezza dell’amore e alla possibilità di sapere cosa potrebbe accadere con quella ragazza. Dopo quel gesto, Titta per la prima volta in tutto il film sorride ma il sorriso si spezza presto, in quanto emerge finalmente il vero segreto inconfessabile di Titta: la grossa società di intermediazione finanziaria per cui lavora altri non è che la mafia.
Il cambiamento innesca una serie di eventi in cui Titta rompe con la sua passività, con quel suo subire le cose senza reagire. Dopo una prima uscita con Sofia, segue l’episodio in cui Titta smaschera il baro Carlo, primo piccolo atto che spezza la sua passiva accettazione nei confronti di chi, in qualche modo, lo priva ingiustamente di qualcosa. Poi compra una macchina da 100.000 dollari, sottraendoli a Cosa Nostra, esponendosi già a un primo grande pericolo: la macchina è un regalo che Titta fa a Sofia, che ha appena preso la patente. La ragazza tuttavia in un primo momento rifiuta di accettare il regalo: “Vuole comprarmi? Non si regala una macchina così a una persona che neanche si conosce”. Nel fare un regalo di quel tipo, si evidenziano i limiti di Titta nell’entrare in una relazione intima: non capisce il motivo del rifiuto della ragazza e, di fronte alla richiesta di Sofia di dire qualcosa che possa motivare la scelta di un regalo così impegnativo, lui riesce solo a dire: “Cosa devo dire? Che ne so? Che cosa si dice in questi casi? Io sono un commercialista”, dichiarando la sua grande difficoltà nell’esprimere le sue emozioni.
Il rifiuto di Sofia colpisce molto Titta che, tornato nella sua camera, trasgredisce per la prima volta dopo 24 anni la regola rigida sull’eroina, e si fa una dose al di fuori dell’orario e del giorno consueti. Lo raggiunge in camera Sofia che, sentitasi in colpa, gli spiega che per accettare un regalo da lui deve prima conoscerlo. Allora Titta si svela a lei e, allo stesso tempo, lo fa pure a noi e racconta la sua storia, senza censure, sfidando la possibilità che lei possa distaccarsi bruscamente da lui: dieci anni prima Titta era un commercialista, un pezzo grosso della Borsa; fece un cattivo investimento per la mafia che, credendo al fatto che lui non si fosse intascato i soldi, decise però di fargli pagare il suo errore, mandandolo come in esilio in Svizzera e condannandolo al compito di trasportare i loro soldi in banca, depositandoli in un conto a suo nome.
Titta dice inoltre che l’indomani sarà il suo cinquantesimo compleanno e Sofia, anziché scappare dopo quanto rivelato, gli propone di festeggiare insieme, dicendogli che lo verrà a prendere alle tre. Titta finalmente quella notte riesce a dormire.
Il risveglio tuttavia non sarà piacevole: gli verrà rubata da due mafiosi che vogliono fare il doppio gioco la valigia con i soldi appena consegnatagli e, solo più tardi, scopriremo che riuscirà a recuperarla (tra l’altro con doti da uomo d’azione, che mai avremmo sospettato in lui).
Ma ancora più significativo è un momento che risulterà cardine: all’appuntamento Sofia non si presenterà. Titta la aspetta a lungo ma, a un certo punto, bruscamente si alza dal divano, va a pagare la retta della sua camera al direttore che, sorpreso, gli fa notare che non è il primo del mese; Titta risponderà in un modo non correlato all’affermazione del suo interlocutore, ma che acquista un profondo senso alla luce di quanto lo spettatore ha potuto vedere: “Non sono mai stato amato da nessuno, io”.
Con questa lapidale affermazione, non solo Titta esprime una dolorosa convinzione che un’altra volta gli viene confermata, ma va incontro anche all’ultima fase del suo cambiamento, quella finale: ribellarsi a Cosa Nostra, rea di avergli rubato la sua vita. Titta decide infatti di non restituire alla mafia i soldi recuperati e paga con la morte il suo silenzio, un silenzio stavolta non passivo, ma fermo in un proposito: quello di non essere più soggetto a comandi esterni, riappropriandosi così del suo volere.
Si scoprirà poi che Titta ha fatto trovare i soldi ai due nobili in rovina, riscattandosi così da quel “lei è una persona cattiva, dottore”, che Isabella aveva tuonato contro Titta, colpevole di aver umiliato suo marito svelando il suo gioco da baro.
Accanto all’ammirazione per un uomo che, a un certo punto, accoglie il cambiamento per riappropriarsi di sé, pur col grave pericolo che questo comporta, rimane tuttavia anche un rammarico nello spettatore. Titta muore convinto che nessuno lo abbia amato, ma in realtà si scopre che Sofia ha mancato l’appuntamento perché ha avuto un incidente con la macchina. Se mai Sofia avrebbe amato Titta non è dato saperlo; nel film, al di là di un paio di istanti in cui Sofia prende sottobraccio Titta e gli accarezza la guancia, non ci sono altri teneri momenti, né tantomeno gesti di passione.
Tuttavia, negli ultimi istanti di vita, Titta richiama alla mente il suo migliore amico Dino Giuffrè e si abbandona a una convinzione che rimane inscalfita in lui, che quasi sembra assurda per un uomo così razionale, ma che probabilmente rappresenta il suo legame con la sua parte più emotiva, che mai ha davvero spezzato: “Una cosa sola è certa. Io lo so. Ogni tanto, in cima a un palo della luce, in mezzo a una distesa di neve, contro un vento gelido e tagliente, Dino Giuffrè si ferma, la malinconia lo aggredisce, e allora si mette a pensare. E pensa che io, Titta Di Girolamo, sono il suo migliore amico.”
“Le conseguenze dell’amore” è un film che parla di un uomo che va di là degli schemi e delle costrizioni che lo hanno sempre imprigionato, con il rischio di esporsi al dolore, alla delusione e, in questo caso, anche al pericolo, ma riprendendo così le redini della propria vita, diventandone di nuovo protagonista e non più semplice comparsa, anche se purtroppo solo per un breve momento.
Alla luce di questo, acquisisce maggior senso anche il bellissimo, quanto enigmatico, inizio del film: il fattorino sul tappeto mobile probabilmente rappresenta la vita di Titta negli ultimi anni, che si lascia trasportare da volontà non sue, ponendo un distacco da tutto ciò che può perturbare questo stato di cose e porlo al di là delle sue certezze e del suo calcolo, fino al momento in cui un amore imprevisto irrompe, scuote (lo shakerare di Sofia) e fa intravedere possibili alternative che maggiormente corrispondono ai propri desideri.
Una metafora quindi dell’importanza di aprirsi al cambiamento, anche se qui la storia è decisamente estrema e tragica (esito preannunciato dalla carozza funebre che appare all’inizio).
Una menzione speciale va alla capacità di Sorrentino di raccontare questa storia, con un uso magistrale di musiche e geometrie: la scena in cui Titta si sottopone al lavaggio del sangue, con la porta bianca con intorno uno sfondo nero, sembra simbolizzare l’aprirsi di una nuova possibilità nel buio della sua vita, lavando via quanto di tossico la abiti.