Lovers2017 – C’est l’amour
[Attenzione Spoiler: vengono svelati particolari della trama]
Si è aperta ieri sera, a Torino, la trentaduesima edizione del Lovers Film Festival, e i due film in programmazione in prima serata sono stati, in modo diverso, dedicati alla tradizione della produzione cinematografica LGBTQI. Il primo “A watermelon woman”, in versione restaurata, è il lungometraggio di Cheryl Dunye, del 1996, primo film lesbico sulla comunità afroamericana; il secondo, “C’est l’amour” (2015), rende omaggio a uno dei più grandi maestri del cinema francese, Paul Vecchiali, regista che ha lavorato molto sul tema della bisessualità: i protagonisti dei suoi film hanno spesso storie complicate, e i suoi lavori sono stati talvolta osteggiati, come è accaduto per “Encore”, del 1988, uno dei primi film europei a parlare di AIDS, proprio dal punto di vista di una persona bisessuale.
Paul Vecchiali doveva essere presente alla proiezione, ma gli organizzatori del Festival hanno comunicato che essendo ultraottantenne e avendo dei problemi cardiaci, non se l’è sentita di presenziare. Questa comunicazione ha creato un forte contrasto con la successiva visione della pellicola, perché questo lavoro ha una dinamicità, un’originalità e una freschezza che rendono difficile pensare che il suo realizzatore possa essere un uomo degli anni Trenta con difficoltà ad affrontare il caldo di Torino. Chi non avesse conosciuto questo artista e la sua fama, leggendo il suo nome sul programma del Festival, avrebbe potuto facilmente pensare a un regista esordiente, con l’entusiasmo dell’innovatore, perché nel cinema contemporaneo, influenzato dagli aspetti commerciali, è molto raro trovare prodotti innovativi, rimanere sorpresi da dialoghi, riprese, storie, finali che non vogliono compiacere lo spettatore, o turbarlo, ma più probabilmente esprimere un’ispirazione artistica spontanea, genuina.
Il film, ambientato in un villaggio di Var, si apre subito in modo estremamente dinamico: uno dei protagonisti, Daniel, percorre un lungo viale avvicinandosi allo spettatore, mentre i titoli di apertura scorrono ai suoi lati. L’effetto visivo è quasi 3D. Tutto in questa pellicola è attivante: i colori vividi da cartolina, i dialoghi potenti, le musiche e le canzoni vivaci della colonna sonora, che non è solo un sottofondo ma un’assoluta protagonista, un elemento fondamentale.
La sequenza iniziale presenta due dei personaggi chiave della storia: Jean Raffali, indaffarato commercialista, e sua moglie Odile. Il loro dialogo è costruito in modo estremamente originale: dapprima la telecamera è puntata su Jean, mentre Odile è fuori inquadratura, poi il discorso viene ripetuto integralmente, nascondendo Jean alla vista dello spettatore e dirigendo l’obiettivo verso Odile. Questo espediente crea un effetto interessante, perché mostra al pubblico in sala l’importanza del linguaggio non verbale nella semantica della comunicazione. Dapprima, infatti, le parole di Odile sembrano dure; quando vediamo invece la sua postura, i suoi gesti, le espressioni del suo volto, pensiamo a una donna sofferente, innamorata, delusa, e non arrabbiata.
La doppia scena ripetuta verrà utilizzata nuovamente da Vecchiali in una delle sequenze finali del film, nel dialogo tra Daniel e il suo compagno Albert. Questa volta, però non viene ripetuto tutto, ma solo una parte di quello che i personaggi si dicono: quando la telecamera è puntata su Albert, la coppia parla dei rispettivi padri, poi Albert racconta la sua esperienza militare, e infine i due parlano di loro e del destino della loro storia; quando il focus si sposta su Daniel, la parte del rapporto con i reciproci padri viene tagliata e vengono ripetute le battute successive, come se il regista volesse chiedere allo spettatore di dare maggiore importanza agli aspetti relazionali della coppia, che al loro passato.
Odile e Jean stanno insieme da 11 anni. Anche Albert e Daniel si sono incontrati sul set di un film, 11 anni fa. Daniel era attore protagonista, mentre Albert una comparsa. Ora Albert è un viticoltore di successo, e Jean lavora per lui.
Odile non sopporta più che il marito lavori fino a tardi e anche nei weekend e sospetta che Jean la stia tradendo. Decide, dunque, di vendicarsi di questa presunta infedeltà, peraltro mai palesata (e nemmeno sospettata dallo spettatore), iniziando una storia con Daniel. Questa liason porta a conseguenze inattese sulle due coppie e sulle loro vite.
L’aspetto interessante di questo lavoro è l’uso del dialogo tra i personaggi per raccontare allo spettatore le loro storie, personali e di coppia. L’unico flashback utilizzato dal regista è quello della scena del film in cui Daniel e Albert si sono incontrati, il resto viene tutto raccontato dalle loro voci, mentre parlano tra di loro. Sappiamo che Jean e Odile si sono incontrati in un ospedale: Jean era lì perché aveva il padre ricoverato, mentre lei ci lavorava. Sappiamo che è stato Jean a chiedere a Odile di smettere di lavorare, che non volevano avere figli e che fanno l’amore di rado.
Daniel è un alcolista, e sembrano avere problemi con l’alcol tutti i personaggi che in qualche modo ruotano intorno ad Albert, che l’alcol lo produce: Manuel, ex commilitone con cui ha avuto un rapporto sessuale dopo una sbornia, e che gli ha sparato accidentalmente a una gamba; Isabelle, l’agente di Daniel.
Interessante il confronto tra generazioni: tra Odile e la madre Esther, che racconta in un bizzarro monologo intervallato dal canto, le sue esperienze d’amore alla figlia, e tra Jean e il padre (interpretato dallo stesso Vecchiali) che gli spiega di essersi trovato nella stessa situazione di Jean, ma dalla parte opposta, quella del traditore e non del tradito. Tutto è ribaltato: il padre di Odile è morto d’infarto, mentre papà Raffali ha avuto un infarto ma è sopravvissuto. Papà Raffali ha tradito la moglie, causandone la morte, mentre Odile ha tradito Jean, ed è lei a morire, alla fine.
Un dramma vivace, perché anche il genere del film, in “C’est l’amour”, diventa un paradosso.