Il TOHorror Film Fest 2018: cinema di qualità tra omaggi ai grandi classici e innovazione
Anche quest’anno Psychofilm era presente alla XVIII edizione del TOHorror Film Fest, per assistere con occhio psicologico alle proiezioni e condividere con i suoi lettori un nuovo e interessante viaggio all’interno delle paure umane.
Per l’anno della maturità, il festival è tornato al Cinema Massimo e lo ha fatto con un set di proiezioni di grande qualità, che hanno affrontato in modo estremamente variegato, eterogeneo, multiforme i temi più importanti del cinema horror.
Sette, serial killer, animali assassini, home-invasion, violenza-spettacolo, pulp, gotico, fantasmi, fiabe dark, orchi; sperimentazione, innovazione e culto dei classici. Non mancava proprio nulla alla versione più evoluta, fino ad oggi, di una kermesse che ha osato, come mai prima, guidare lo spettatore attraverso diversi territori del genere, dal più popolare al più raffinato.
La strega
Il personaggio principale a cui è stata dedicata questa edizione del festival è la strega, rappresentata dalla giovane donna vestita di bianco presente sulla grafica dei poster, delle locandine e dei programmi della manifestazione. Una immagine diversa da quella classica descritta nelle favole come “Biancaneve”, ha affermato il direttore artistico Massimiliano Supporta nel suo discorso introduttivo, che vuole essere il simbolo di una storia di persecuzioni e di concezioni del femminile spesso purtroppo ancora attuali.
Molte le tematiche di interesse psicologico affrontate nelle opere presentate sia in concorso che fuori concorso: il terrore della perdita del controllo e della slatentizzazione dei lati negativi e oscuri di sé, la lotta al male che aggrega, il trauma, la sopravvivenza, il gruppo come risorsa o come fonte di deresponsabilizzazione, prevaricazione, influenza negativa.
Numerosi i rimandi ai classici della letteratura e del cinema horror e le riflessioni sul cinema come arte, dove il confine tra realtà e finzione può diventare labile. Chiavi di lettura sulla realtà contemporanea e sguardi al passato, forme espressive difficilmente catalogabili, multiculturalità, data da una mappa geografica di film provenienti da tutto il mondo, che hanno permesso di scandagliare luoghi, costumi, scuole di pensiero e situazioni politiche e sociali variegati.
Climax
Il festival si è aperto con il film fuori concorso “Climax” di Gaspar Noé (Francia, 2018), uno dei registi più visionari e controversi degli ultimi anni.
Un gruppo di street dancer si allena per uno spettacolo all’interno di una casa isolata, in mezzo alla neve. Dopo tre giorni di lavoro, i ballerini si concedono una serata di riposo e di festa, festa che si trasforma ben presto in un incubo collettivo. Nessuno sa che nella sangria che stanno bevendo è stata deliberatamente disciolta una dose elevata di LSD, e quando gli effetti della bevanda allucinogena iniziano a manifestarsi si scatena un vero inferno sulla Terra.
I lati oscuri o nascosti di ognuno emergono, e mentre alcuni sono innocui, come lo scoprire di essere attratti da persone dello stesso sesso, ad esempio, altri sono terribili e letali: aggressività, violenza, paranoia, inadeguatezza genitoriale, sentimenti incestuosi, danno il via ad un’escalation di follia lisergica, dove realtà e incubo si mescolano come un pugno allo stomaco.
Un racconto estremo, condotto dai deliranti piani-sequenza e dalla stupefacente fotografia di Benoît Debie, dal ritmo di musica elettronica e dai balli tanto straordinari quanto ripetitivi-ossessivi dei personaggi.
La visione di questo film è un’esperienza dolorosa, affaticante, frenetica, angosciante. Si prova letteralmente sollievo quando la pellicola finisce: è come uscire da un incubo in cui lo spettatore viene proiettato e da cui non si può svegliare neanche molto tempo dopo che la visione è terminata.
Summer of 84
Altro film fuori concorso proiettato durante la seconda serata del festival (in anteprima italiana) è il lungometraggio “Summer of 84”, del trio di registi canadesi François Simard, Anouk Whissell, Yoann-Karl Whissell, (Canada/USA, 2018). La trama non spicca per originalità, trattandosi di una storia estiva di ragazzi dei sobborghi americani che si lanciano allo spionaggio del vicino, sospettato di essere il serial killer di turno. Tuttavia le tante citazioni inserite (“La finestra sul cortile” di Hitchcock, “It” di Stephen King e soprattutto la serie tv di successo “Stranger Things”) nei personaggi, nella colonna sonora, nell’ambientazione, nella grafica dei titoli e nella vena nostalgica per gli anni ’80 contribuiscono a creare un insieme di qualità godibile, con un finale non banale e che fa riflettere.
Divertente l’aver associato al presunto serial killer alcuni cliché apprezzabili solo da chi conosce la storia del profiling, come il fatto che lo stesso possieda un maggiolino, macchina più utilizzata dai serial killer americani degli anni ’60-’70-’80, anche perché molto diffusa e dunque meno distintiva, o che il sospetto vicino non solo abbia “tentato senza successo”, come molti omicidi seriali, di entrare nella polizia ma che sia addirittura un poliziotto.
A parte i vari riferimenti e “chicche” tra le righe, nel film emerge comunque in modo forte l’importanza dell’amicizia e del senso di gruppalità, come uniche cose in grado di salvare l’adolescenza dalla minaccia di adulti abusanti e violenti o distratti e non in ascolto autentico dei timori e dei bisogni dei figli.
Housewife
Con “Housewife” (Can Evrenol, Turchia, 2017) rientriamo nel filone horror più classico. Qui sovrannaturale, stregoneria, sette, controllo della mente, traumi infantili irrisolti e avvento di un’inquietante creatura, si intrecciano in una pellicola, in cui oltre al riferimento a Lovecraft e ai registi italiani Lucio Fulci e Dario Argento, emerge anche una risonanza con il film di Roman Polanski del 1968 “Rosemary’s Baby”. Anche questo lungometraggio, “labirintico e cruento”, come è stato definito dagli stessi organizzatori del ToHorror Film Fest, è stato proiettato, fuori concorso, in anteprima assoluta italiana.
One cut of the dead
Ha colpito, invece, per la sua estrema originalità il film “One cut of the dead” (Shinichiro Ueda, Giappone, 2017), una zombie-comedy realizzata con un budget di 25.000 euro e che ha incassato nel suo paese 25 milioni di euro. Pellicola esilarante che ha fatto ridere tutta la sala, con molteplici piani di lettura che rappresentano una delle missioni del cinema: rendere la finzione il più possibile simile alla realtà, fino al suo estremo “Don’t stop shooting!”. Già vincitore del premio del pubblico al XX Far Est Film Festival, questa commedia horror ha meritato ampiamente di fare il bis a Torino vincendo nuovamente il premio attribuito dal pubblico e anche il premio come miglior lungometraggio in concorso.