Split: chi ha sofferto è più evoluto
Quando i giapponesi riparano un vaso rotto, riempiono le crepe con dell’oro. Essi credono, infatti, che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello.
(Arte giapponese – La tecnica del Kintsugi)
In inglese il verbo “split” significa spaccato, rotto, diviso, separato e la parola “split” spaccatura, incrinatura, crepa. Il nuovo film di M. Night Shyamalan, in questi giorni nelle sale italiane, racconta la storia di un uomo spaccato, diviso, disgregato, e lo fa in modo del tutto originale, cercando di fornire della sofferenza psichica una visione positiva, come un artista del Kintsugi.
Cinema e letteratura hanno già parlato, in passato, del disturbo mentale sofferto dal protagonista di questo film. Pensiamo a “Sybil”, pellicola del 2007 tratta dall’omonimo libro del 1973, che racconta la storia vera di Shirley Ardell Mason, donna affetta da quello che, al tempo, veniva chiamato “Disturbo da personalità multipla” e che il recente “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM-V) ha rinominato “Disturbo dissociativo dell’identità”, o al film di David Fincher “Fight club”, del 1999.
Anche il film di Shyamalan, come “Sybil” è ispirato, in parte, a una storia vera, quella di Billy Milligan, uomo affetto da DDI che negli anni Settanta fu assolto dall’accusa di rapimento e stupro perpetrati ai danni di alcune studentesse universitarie, per infermità mentale (rif. al libro di Daniel Keyes “Una stanza piena di gente”). Ispirato in parte perché l’interpretazione della storia da parte del regista indiano sfocia nel soprannaturale e nell’horror “splatter-cannibal”, tanto da apparire, a tratti, surreale.
Sono convinta, però, che molta parte del messaggio contenuto in questa pellicola debba essere valorizzato, dal punto di vista psicologico, perché offre dei contenuti assolutamente condivisibili, se interpretati rifacendosi a temi scientificamente fondati.
Non badiamo alla personalità della “bestia”, che riesce a camminare sui muri, aprire con le mani sbarre di ferro e respingere pugnali e proiettili, ma al significato simbolico che i personaggi interpretati da James McAvoy (in maniera sublime, aggiungerei) assumono nel panorama psicologico.
Intanto capiamo meglio che cos’è il disturbo dissociativo dell’identità: il DDI consiste in una “disgregazione dell’identità caratterizzata da due o più stati di personalità distinti, che in alcune culture può essere descritta come un’esperienza di possessione. La disgregazione dell’identità comprende una marcata discontinuità del senso di sé e della consapevolezza delle proprie azioni, accompagnata da correlate alterazioni dell’affettività, del comportamento, della coscienza, della memoria, della percezione, della cognitività e/o del funzionamento senso-motorio. Tali segni e sintomi possono essere osservati da altre persone o riferiti dall’individuo” (DSM-V).
Tale disgregazione, che non deve essere attribuibile all’uso di sostanze psicotrope, deve interessare almeno due distinti stati di personalità. Il protagonista di “Split”, ne presenta addirittura 24, anche se l’attore protagonista interpreta solo 9 di queste personalità: Kevin (il corpo “ospite”), Hedwig (un bambino di 9 anni), Barry (un creativo che disegna abiti da donna), Dennis (affetto da disturbo ossessivo-compulsivo) e Patricia (le due personalità “dominanti”), “la Bestia”, e altri personaggi che compaiono in alcuni video che una delle vittime, Casey, trova sul pc del suo rapitore.
Casey è una ragazza che, come il suo sequestratore, ha subito dei traumi terribili, a partire dall’infanzia (i traumi del protagonista, esplicitati più brevemente nel film, si potevano dedurre, comunque, dalla natura dissociativa del suo disturbo): è infatti stata oggetto delle attenzioni di uno zio, che l’ha abusata ripetutamente e con il quale ha dovuto vivere dopo la scomparsa prematura del padre per un infarto. L’adolescente ripercorre, durante la sua prigionia, attraverso una serie di flashback, la storia delle violenze di cui è stata vittima. Queste sequenze, fanno sì che anche il film risulti SPLITtato in due parti distinte.
A differenza di Kevin, però, Casey è riuscita a mantenere una buona organizzazione psichica, benché la sua vita relazionale, in particolare nei rapporti con le coetanee, risulti difficile e non abbia trovato, fino a quel momento, le risorse personali e sociali per uscire da un ambiente di vita violento.
Ma torniamo al significato del film e agli aspetti per i quali l’ho trovato molto apprezzabile. Ciò che è interessante, in questa pellicola, è l’aspetto legato alla teoria che le persone che hanno sofferto siano più “evolute”. Evolvere, innanzitutto, significa cambiare, da una forma a un’altra, perfezionarsi da uno stato più semplice a uno più complesso. I meccanismi di difesa (secondo la prospettiva freudiana) e il più attuale concetto di resilienza, scaturiscono dalla riflessione sul modo in cui determinati eventi ed esperienze possono essere superati o tenuti sotto controllo dalle persone attraverso l’uso di strategie più o meno adattive.
I personaggi interpretati da McAvoy, contengono un po’ di quelli che possono essere i risvolti degli eventi di vita negativi e di come possono essere svariati i modi in cui diverse persone reagiscono a eventi simili. Abbiamo innanzitutto un disturbo dissociativo e, all’interno di questo disturbo, una serie di manifestazioni che rimandano ad altri disturbi (es.il disturbo ossessivo-compulsivo) o meccanismi di difesa (es.la regressione), ma anche una rappresentazione della resilienza (“la bestia”, che ha la capacità di assorbire i colpi senza rompersi). La resilienza è definita proprio, come la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi e la capacità di un individuo (dal punto di vista psicologico) di affrontare o superare un evento traumatico. La resilienza permette non solo di fronteggiare con efficacia le difficoltà, ma spesso anche di raggiungere obiettivi di vita importanti.
La resilienza è il contrario della disgregazione, pertanto la sua rappresentazione splittata del film deve essere considerata in modo simbolico. La resilienza è la capacità di riorganizzarsi dopo una o più situazioni difficili o traumatiche. Questo concetto richiama in sé quelli di sopravvivenza, adattamento, evoluzione. L’evoluzionismo ha mostrato e mostra come alcune specie siano riuscite a trasformare delle situazioni negative in opportunità: mi viene in mente un documentario che ho visto anni fa su un uccello che è sopravvissuto ai cambiamenti climatici ed ambientali modificando, nel tempo, la conformazione del suo becco, al fine di nutrirsi dell’unico cibo disponibile, un fiore “a tubo” il cui pistillo era raggiungibile solo da un becco sottile e allungato. Questa è evoluzione, questo è adattamento.
Il raggiungimento di grandi obiettivi richiede spesso il passaggio attraverso il dolore e la fatica. Raggiungere una vetta richiede allenamento, ad esempio. La sofferenza, dunque, può essere il tramite essenziale per arrivare a un livello superiore. Chi ha sofferto è più evoluto? Il messaggio che viene trasmesso con il film “split” può essere condivisibile? Lascio a voi questa riflessione. Personalmente, penso che una pianta cresciuta in un prato, su un terreno piatto, e una pianta cresciuta su una scogliera, vedano panorami molto diversi, il secondo per me certamente più interessante. Per concludere vi riporto qui una frase che ho scritto tempo fa: “i sentieri facili portano a luoghi banali”.