Sotto accusa
Sotto Accusa è un film del 1988 (regia di Jonathan Kaplan) ispirato alla vera storia di Cheryl Araujo, vittima di uno stupro di gruppo avvenuto in un bar nel Massachussets nel 1983. La giovane protagonista di questa terribile vicenda, nella pellicola, prende il nome di Sarah Tobias, interpretata da Jodie Foster, che per la sua straordinaria recitazione vinse un Oscar e un Golden Globe.
Sarah viene violentata da 3 uomini su un flipper, di fronte a una folla di avventori urlanti che incitano i suoi aggressori e la umiliano con commenti sessuali deprecabili. La procuratrice Kathryn Murphy, interpretata da Kelly McGillis, ha l’incarico di seguire il suo caso; se in un primo tempo sembra decisa a far condannare duramente i tre stupratori, decide successivamente e inaspettatamente di accettare un patteggiamento con gli avvocati difensori degli imputati, condannando i colpevoli a una pena di durata simile a quella della violenza sessuale, ma escludendo dai capi di imputazione lo stupro, e trasformando l’accusa in “lesioni colpose”.
Sotto accusa esplora dei temi importanti e purtroppo, a distanza di trentacinque anni, ancora tragicamente attuali:
La tendenza ad incolpare la vittima(*): il film mostra come le percezioni personali e i pregiudizi possano influire sul senso di giustizia (anche la sua amica riferisce che pensava che Sarah si stesse dando da fare e divertendo alla grande, nella sala giochi del locale).
Le mancanze del sistema giudiziario che, influenzato dall’opinione pubblica, dalle pressioni esterne e dagli stereotipi di genere, diventa veicolo di ulteriore traumatizzazione delle donne vittime di violenza sessuale e di ulteriore ingiustizia.
L’importanza della difesa della verità e del giusto verdetto, come parziale strumento di riparazione del trauma.
Sotto Accusa è un lavoro di grande pregio, che tira molti pugni allo stomaco dello spettatore, riuscendo ad esplorare, con grande realismo, la sofferenza emotiva della protagonista e la sua capacità di recuperare risorse interne per affrontare l’elaborazione del suo trauma, in assenza di risorse familiari e sociali adeguate.
Non c’è infatti nessuno che possa contenere lo tsunami emotivo di Sarah, che non solo è stata vittima di un crimine terribile, non solo è stata oggetto di una assurda colpevolizzazione da parte dell’opinione pubblica e della giustizia, ma è anche stata lasciata da sola ad affrontare tutto questo. Al trauma dello stupro si aggiungono quindi altri traumi: quelli relazionali.
Secondo il modello EFT (Terapia Focalizzata sulle Emozioni) il trauma relazionale legato dalla violazione dell’aspettativa di ricevere conforto, accudimento e cura in un momento di bisogno, difficoltà, fragilità o richiesta di aiuto, viene definito come una “Ferita di Attaccamento”. La relazione, dal momento in cui si vive una ferita di attaccamento, diventa per la persona insicura e inaffidabile. Solo la riparazione della ferita può portare a una ricostruzione della relazione come nuovamente sicura.
Nel film Sarah subisce tre principali ferite di attaccamento:
1.
Tornata a casa dopo lo stupro, la ragazza racconta al suo compagno la sua drammatica e terrificante esperienza (questa parte è solamente fatta intuire allo spettatore). Sarah è seduta sul letto e lui è in piedi di fronte a lei. Il compagno le dice che gli dispiace per quanto le è accaduto, ma senza avvicinarsi, rimanendo fisicamente a distanza (mostra un tipico atteggiamento a “Doppio Legame”: pronuncia parole di vicinanza ma il suo linguaggio non verbale è rigido e distante). Poi le chiede se vuole fare un giro, e questa è una manifestazione della sua inadeguatezza ad affrontare una situazione di quel genere, ma il risultato è che si percepisce come una sorta di minimizzazione dell’evento. Fare un giro non può risolvere quello stato emotivo soverchiante, meglio stare al sicuro nella propria “tana”, e magari tra le braccia di qualcuno. Sarah risponde di no e il compagno le dice allora che sarà lui ad andare a fare un giro, poi esce lasciandola da sola.
Successivamente il compagno metterà in atto altri comportamenti molto lontani dalla comprensione empatica e dall’accudimento. Sarah si taglierà i capelli corti, dicendo che sentiva la necessità di cambiare, e lui le riderà in faccia, dicendo che sta malissimo. Poi, vistosi rifiutato un approccio sessuale, le chiederà con tono acceso quando la compagna supererà questa cosa, come se fosse facile superare una esperienza del genere.
Queste interazioni di coppia, se analizzate dal punto di vista di un altro importante modello teorico, quello della Schema Therapy, possono far presupporre che la scelta di un compagno così inaffidabile e scarsamente empatico, da parte di Sarah, sia la manifestazione di un mode di coping di resa ad uno schema di abbandono.
2.
Sarah prova allora a trovare conforto nella madre. Le telefona ma non le rivela quanto accaduto. Una madre attenta si accorgerebbe, però, dalla sua voce rotta, che qualcosa non va. Anche in questo caso Sarah trova un muro a livello di empatia. La madre le dice che sta partendo per un viaggio e non ha tempo di stare al telefono e Sarah rimane di nuovo sola, ad affrontare il suo dolore.
3.
La figura di Kathryn Murphy, la procuratrice che si occupa del suo caso, può essere vista come una nuova potenziale figura di attaccamento per la protagonista. Sarah crede veramente che lei farà di tutto per assicurare i responsabili del suo stupro alla giustizia e che lo farà perseguendoli per gli atti che hanno commesso. Ma anche Kathryn si rivela una delusione, producendo una nuova probabile ferita di attaccamento, quando patteggia con i colpevoli senza chiedere la sua opinione in merito a questa scelta e non dando valore all’importanza di confermare il reato perpetrato sulla ragazza, molto lontano dalle lesioni colpose. Questa ferita però sarà riparata, perché l’avvocato si renderà conto di aver trattato con superficialità la vicenda e, oltre a condannare gli stupratori di Sarah modificando l’imputazione da “lesioni colpose” a “violenza sessuale di gruppo”, assicurerà alla giustizia anche gli avventori del bar che avevano partecipato attivamente, con le loro incitazioni, alle aggressioni.
(*) Blaming the victim: fenomeno psicologico e sociale nel quale individui o gruppi cercano di fronteggiare le cose brutte che sono accadute agli altri assegnando la colpa alla vittima del trauma o della tragedia. Il Victim Blaming serve a creare distanza psicologica tra il colpevolizzante e la vittima […] e crea una difesa psicologica per il blamer contro i sentimenti di vulnerabilità (APA Dictionary of Psychology).