Lacci: un’eredità rifiutata
Lacci è un film di Daniele Lucchetti tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone e presentato alla 77esima mostra del Cinema di Venezia.
Il film è ambientato negli anni Ottanta e racconta la storia di Aldo (Luigi Lo Cascio), radiofonista, della moglie Vanda (Alba Rorhwacher), dei loro due figli Anna (Giovanna Mezzogiorno) e Sandro (Adriano Giannini), e della giovane Lidia (Linda Caridi), di cui Aldo si innamora.
I temi del film sono molteplici, ed anche gli spunti su cui riflettere: tradimenti e dolori, ritorni e abbandoni, segreti e verità, il tutto legato assieme dai “lacci”, che rappresentano i legami e le relazioni. Il focus del film è proprio questo, ed è rappresentato dalla domanda che Sandro fa al padre: “Tu come ti allacci le scarpe?”, che simbolicamente significa: “In che modo funzionano le relazioni”? “In che modo si legano assieme le cose della vita”? “In che modo tu e mamma state insieme”?
Vanda dice ad Aldo: “Quello che ti è successo può succedere (si riferisce al tradimento di lui), ma noi abbiamo fatto un patto quando abbiamo deciso di andare a vivere insieme. Te lo ricordi?”. Vanda si appella al patto, alla lealtà, un patto che pare valere più della sua stessa esistenza, tanto da mettere in atto un tentativo anticonservativo: lei smette di esistere se non può più essere allacciata ad Aldo.
Se da una parte Vanda si appella al patto e alla richiesta di parole e segue una realizzazione che dipende dalla coppia, dall’altra Aldo tace, pensa che per stare insieme occorra parlare poco, e tradisce il patto, seguendo una realizzazione più individuale. I due parlano due lingue molto diverse.
Nel film non c’è soltanto il punto di vista della coppia coniugale, ma anche quello dei figli e di ciò che i genitori hanno lasciato loro. La violenza vissuta, il dolore ed il tradimento del padre, difficilmente saranno digeriti e così saranno proprio i figli a distruggere la casa che i genitori hanno costruito, rifiutando simbolicamente ciò che hanno ereditato.
I figli non accettano il modello imposto dai genitori, un modello che ha generato dolore, rabbia, segreti, bugie e tanta frustrazione e Aldo e Vanda si trovano così a discutere di loro e delle loro vite all’interno di una casa messa a soqquadro, violentata e “distrutta”.
Il film è ciclico sia nello sviluppo della trama (si ritorna al punto di partenza), che strutturalmente (i piani temporali sono statici). Probabilmente le interpretazioni degli attori nobilitano la sceneggiatura del film che in alcuni punti presenta dei buchi temporali e delle ripetizioni che non approfondiscono, ma suonano ridondanti.
Il punto di forza del film di Lucchetti è però certamente la rappresentazione del silenzio, in quei momenti in cui i bambini osservano un dramma che non ha né parole, né suoni, e gli adulti sembrano delle marionette, vittime di loro stessi. Un dramma universale in cui l’eredità che i figli acquisiscono e rifiutano non è solo materiale ma soprattutto psicologica.