Jojo Rabbit
Il periodo storico più surreale e tragico che l’umanità ha vissuto è stato quello della Seconda Guerra mondiale e Jojo Rabbit è un film che, in questo periodo di pandemia globale, sembra adatto a questi tempi non altrettanto tragici ma certamente drammatici, che oltrepassano la dimensione della realtà che conosciamo.
Trama:
Germania, 1945. Johannes Betzler, detto JoJo, è un bambino di 10 anni appartenente alla gioventù Hitleriana. Il suo amore per la Patria e il Nazismo lo rendono un fervido seguace di Hitler, con cui condivide un’amicizia immaginaria.
Quando la madre Rosie (una fenomenale Scarlett Johanson) nasconde in casa una ragazza ebrea di nome Elsa (Thomasin McKenzie), le sue convinzioni vengono messe in dubbio, fino a condurlo a mettere in discussione la bontà delle proprie idee.
Il film si configura come un coming age dal retrogusto gentile raccontato ai ragazzi.
Se il messaggio fosse destinato ad un pubblico di adulti i riferimenti cinematografici che potremmo citare sarebbero molti. Tra questi, possiamo ricordare “Bastardi senza gloria” di Tarantino, “Per favore non toccate le vecchiette” di Mel Brooks, “Train de Vie” di Radu Mihaileanu o “Remember” di Atom Egoyan.
La prospettiva cambia se invece prendiamo in considerazione un film come “Il Bambino dal pigiama a righe” di Mark Herman.
“Jojo Rabbit”, però, tratta un argomento di solito drammatico sotto forma di commedia, e la sua “comicità” contribuisce alle finalità educative di risveglio della memoria e della coscienza storica. Da questo punto di vista il film evita eccessi retorici e cadute didascaliche.
Una spiegazione psicoanalitica sul concetto di oggetto transizionale, tra fantasia e realtà:
È molto frequente che durante l’infanzia si possa attivare una modalità ideativa, ludica e creativa capace di dare vita ad un amico immaginario. Nei bambini, solitamente si tratta di un peluche, una bambola di pezza, un giocattolo animato a cui sono attribuiti pensieri, azioni, parole.
L’autore in psicoanalisi che si è maggiormente occupato di tale fenomeno è Donald Winnicott, che ha parlato di “oggetto transizionale”, ovvero un oggetto “altro da sé” con cui il bambino si relaziona, che sceglie, porta con sé e a cui si affeziona.
Tale oggetto, ad un livello simbolico, rappresenta la figura di accudimento primario, un contenitore capace di accogliere quelle emozioni che il bambino inizia a provare e sperimentare, qualcosa che gli permette di affrontare il mondo.
L’amico immaginario coincide spesso con l’oggetto transizionale, facendo da ponte tra mondo esterno ed interno.
Jojo crea nella sua testa e attraverso la sua immaginazione un Hitler “amico immaginario” – “oggetto transizionale” che gli permette di entrare in relazione con il mondo circostante.
Hitler diventa per il protagonista un modo per sperimentarsi all’interno di una relazione, attraverso un’esperienza tra il reale ed il fantastico.
Il bambino vive contestualmente in una realtà-reale e in un mondo, quello della fantasia, appartenente ad una realtà diversa, ma altrettanto viva per lui.
L’amico immaginario permette anche a Jojo di sperimentare, spostandole su Hitler, le proprie pulsioni aggressive (sentimenti di rabbia e odio) e una fiducia che gli conferisce un senso di identità e gli permette di sentirsi se stesso attraverso un qualcosa di altro da sé, creato da sé.
L’oggetto transizionale sparirà nel momento in cui il protagonista incontrerà Elsa e se ne innamorerà, sperimentando una relazione al di fuori del proprio mondo.
Simbolicamente il nemico rappresenta per Jojo le sue paure, i suoi dubbi e le sue fragilità.
La relazione con la persona che si nasconde nella sua casa lo farà sentire più fragile e vulnerabile, ma al contempo gli permetterà di buttare dalla finestra Hitler e di confrontarsi con un’identità altra, necessaria per lo sviluppo tipico dell’adolescenza.
“Jojo Rabbit” è un film divertente e commovente insieme, adatto a tutte le età, che Psychofilm consiglia vivamente di vedere.