Lovers2018-It’s Alright Michel
Nella sezione “Real Lovers – Concorso Internazionale Documentari” della 33° edizione del Lovers Film Festival, da poco conclusasi , è stato presentato il documentario “It’s Alright Michel” (Canada, 2017, regia: Marie-Pierre Grenier), che ho trovato commovente e illuminante al tempo stesso.
Il documentario come genere ha già in sé la grande potenzialità di promuovere la comprensione del vissuto dei suoi protagonisti, permettondoci di empatizzare ancor meglio con condizioni che ci sembrano lontane. Ciò è stato facilitato ulteriormente da un protagonista che si è mostrato alla telecamera così com’è, anche nei suoi momenti di irritabilità, per giunta motivandoli in un modo che permette allo spettatore di comprenderlo davvero a 360°.
Dopo il cortometraggio-documentario “Je les aime encore” (2010), presentato al Lovers del 2012, la regista Marie-Pierre Grenier torna a dar voce a Michel, transgender di 84 anni, che ci racconta la sua vita, tra una sigaretta e un bicchiere di vino, con uno stile ironico e brillante, dove tuttavia non manca la dolorosa nostalgia per un passato, denso di momenti emotivamente intensi che ormai non esistono più. Il risultato finale è un documentario dove ai temi dell’identità sessuale e dell’amore, si intreccia anche quello dell’invecchiamento.
Michel parte dalla sua infanzia di bambina adottata in un orfanotrofio che fin da piccola sente di “abitare” in un corpo sbagliato. Molto commovente è quando Michel racconta di sua madre, che avendo probabilmente notato questo suo forte disagio, a 4 anni le regala un paio di pantaloni: Michel, nel suo racconto, ci fa vivere la grande felicità di quella bambina che si sente maschio e che vede in quei pantaloni un modo apparentemente piccolo ma importantissimo per sentirsi sé stesso.
Michel prosegue raccontando di come, da piccolo, approfittasse dei momenti in cui i suoi genitori andavano via per indossare i vestiti del padre (comportamento ricorrente in persone con disturbo dell’identità di genere, come anche mostrato nel film “Just Charlie” del Lovers 2017 e di come abbia poi cominciato a vestirti sempre da uomo. I suoi genitori etichettarono questo comportamento come una bizzaria di cui non parlare apertamente, mentre per la società Michel cominciò ad essere una sorta di rifiuto umano. Tuttavia il grande successo che aveva nel conquistare le donne riuscì a compensare il sentirsi considerato un individuo indegno da evitare. Michel si illumina mentre ci racconta le tante storie intense avute con donne amate alla follia e per cui ha fatto lui stesso cose folli (come finire sul lastrico ad esempio). Storie in cui non mancano anche grandi difficoltà: spesso si tratta di ragazze che devono nascondere il legame con Michel e costrette dalla famiglia, una volta scoperte, a non frequentarlo più.
Quando Michel racconta quegli anni di conquiste, alla fine della narrazione un velo di tristezza scende e capita che bruscamente comunichi di voler terminare per quel giorno le riprese.
In particolare, ciò che lo addolora del ricordare è la consapevolezza che quei momenti speciali d’amore, che tanto erano importanti per sentirsi accettato in una società rifiutante, non ci sono più, oltre alla consapevolezza della sua solitudine. Nonostante abbia avuto anche legami importanti, Michel infatti è solo (a fargli compagnia ci sono il suo cane e il suo gatto) e la vecchiaia, come dice lui stesso, “non è una passeggiata”. Le case di riposo migliori sono costose e Michel afferma, con una delle sue sonore risate, che gli anziani lo annoiano tremendamente. Ad aggravare il tutto, si aggiungono importanti problemi di vista che, oltre a disagi oggettivi, lo fanno sentire privato di quella che era sempre stata la sua “arma” di seduzione: lo sguardo. In particolare, Michel ci racconta con dolore dell’amore provato verso Camille, di 47 anni più giovane, che si era offerta di leggere per lui: Michel si innamora di lei, Camille forse lo ricambia ma le letture si interrompono, rendendo ancora più dolorosa quella solitudine.
Nel raccontare la sua vita, Michel ci offre anche uno spaccato della comunità LGBTQI canadese fin dagli anni ’50-’60, di come fossero distribuiti i locali a Montreal (nella parte est quelli per lesbiche, nella parte ovest quelli per gay) e del clima che si respirava, considerando che l’omosessualità fu illegale in Canada fino al 1969 e che essere gay/lesbica comportava essere ritenuti peggio che criminali.
Alla domanda della regista se lui si fosse sempre definito “gay” (vista la frequenza di questo termine nei suoi racconti), Michel risponde di aver trovato finalmente la definizione di se stesso nella parola “transgender”, quando la sentì per la prima volta 3-4 anni prima, testimoniando l’allargamento di visione che si è avuto nel corso del tempo, volto a cogliere una molteplicità di condizioni, prima unificate in poche definizioni.
Dal punto di vista stilistico, ho trovato molto interessante l’uso di burattini in legno, oltre a foto e video di repertorio, per rappresentare alcuni momenti della vita di Michel: il loro aspetto vintage ha reso molto bene il clima emotivo sospeso tra tenerezza e nostalgia.
Inoltre molto toccante, a mio parere, è stata la scena iniziale del burattino che rappresenta Michel da anziano che si sistema davanti alla telecamera: la stessa scena verrà ripresa alla fine, dove lui si alza dalla sedia, la telecamera viene rivolta verso lo spettatore e sullo schermo compare la scritta “Grazie Michel”.