Psychofilm

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Film psicologici e psicologia spiegata attraverso il cinema

Recensioni

Film: “Il Buco”

“Il Buco” è un film ambientato all’interno di una prigione. Attraverso ogni piano del carcere passa una piattaforma con del cibo per i detenuti.

Il cibo, a mano a mano che la piattaforma scende attraverso il buco verso i livelli più bassi (fino ad arrivare alla fossa finale) diventa più scarso: mentre le persone che stanno ai livelli superiori hanno la possibilità di scegliere quanto e cosa mangiare, le persone che stanno ai livelli più bassi non hanno lo stesso privilegio e quando la piattaforma raggiunge gli ultimi livelli non rimane più nulla di cui nutrirsi.

L’aspetto della quantità di cibo distribuita è la prima cosa che il regista mette in risalto, specificando questa “logica gerarchica” per la quale chi sta in alto è più fortunato di chi sta in basso o in fondo.

La metafora è palese e questa struttura verticale rende il film didascalico e portatore di un messaggio da codificare.  

Il primo rimando cinematografico esplicito o implicito che viene in mente guardando questo film è sicuramente “Snowpiercer” di Bong Joon-Ho. Ma a differenza del film del regista Coreano in cui il treno (e quindi il sistema) sta in equilibrio proprio perché chi sta in coda deve rimanere nell’ultima carrozza, nel buco al contrario vige un principio che potremmo definire di “mobilità”, in quanto i detenuti ogni mese cambiano livello. Tale mobilità è totalmente caotica e irrazionale.

Il protagonista del film è Goreng, che all’inizio si ritrova nella cella con Trimagasi. Il primo incontro tra i 2 detenuti è ricco di significati simbolici.

Un aspetto interessante è l’oggetto che i due personaggi hanno scelto di portare con loro prima di entrare nella prigione: Goreng ha portato con sé un libro, “Il Don Chisciotte”, mentre Trimagasi un coltello.

Da un punto di vista prettamente simbolico, questo rivela che Goreng agirà all’interno del buco sempre attraverso una funzione di pensiero (rappresentando la sovrastruttura più culturale ed intellettuale), mentre Trimagasi rappresenta l’aggressività e l’istintualità della natura umana.

Una riflessione psicologica sul concetto di solidarietà come strumento di integrazione tra gli istinti e gli ideali

In termini psicologici il cibo può essere la rappresentazione dell’accesso non soltanto al nutrimento, ma anche al mantenimento di una sorta di lucidità mentale, oltre che del conflitto umano che scaturisce dalla necessità di sopravvivenza e dalla scarsità delle risorse.

Il presupposto filosofico alla base di questo lavoro, potrebbe essere quello che Hobbes descrive con la celebre frase “homo homini lupus”, e la logica che sembra prevalere è quella che il noto psicoanalista Massimo Recalcati definirebbe “godimento acefalo” dei bisogni fondamentali (rappresentato da Trimangasi e dal suo coltello).

In contrapposizione a questo godimento acefalo si inizia a diffondere nella prigione un movimento rivoluzionario di “solidarietà spontanea” (di cui Goreng è utopisticamente portatore) secondo la quale ogni persona, indipendentemente dal livello in cui si trova, dovrebbe consumare solo la quantità di cibo necessaria alla propria sopravvivenza.

“Il buco” è un film che  stimola molte riflessioni in questo periodo in cui stiamo vivendo la pandemia del Covid-19 e fa pensare a quanto la solidarietà e la responsabilità individuale siano fondamentali e necessarie in situazioni di emergenza e scarse risorse.

Solidarietà e responsabilità non devono essere utopiche, idealistiche o astratte (come quelle simboleggiate dal Goreng-Don Chisciotte) e neanche si deve arrivare ad una chiusura a un individualismo acefalo e violento (simboleggiato da Trimangasi e dal suo coltello).

Come possiamo, allora, integrare gli aspetti più egoistici e distruttivi della natura umana con quelli più ideali ed utopistici, e dirimere l’eterno conflitto tra le pulsioni individuali, che aspirano al godimento, e quelle altruistiche e solidaristiche?

“Il buco” è un film violento, e il genere di cui si serve il regista è l’horror, per la crudezza delle sue scene; ma merita di essere visto, per riflettere su che tipo di solidarietà, sia in termini psicologi che sociali, possiamo vivere in questo momento.

Stefano Tricoli

Sono uno psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico. Sono Cultore della materia Psicologia Dinamica presso l’Università degli studi di Torino e ho una passione profonda e viscerale per il cinema.