Dunkirk, la guerra secondo Christopher Nolan
Soldati
si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
(Giuseppe Ungaretti)
Era il lontano 1996 e mi trovavo nella bellissima capitale inglese quando conobbi per la prima volta il cinema dinamico. Pagai due volte il biglietto per rifare l’esperienza, che trovai estremamente adrenalinica: sullo schermo fu proiettato il filmato di un ragazzo (in carne ed ossa, non stile videogioco) che, avviluppato in una tuta nera e con un casco integrale in testa, si sdraiava supino su uno skateboard e si lanciava in discesa su una strada di montagna, schivando le macchine che sopraggiungevano dal lato opposto e prendendo le curve a tutta velocità; ogni suo movimento era riprodotto dai sedili mobili su cui noi spettatori eravamo seduti e ciò rendeva l’esperienza estremamente realistica.
Cosa c’entra questo racconto con “Dunkirk”? Apparentemente nulla, se non che uscita dal cinema ho proprio pensato: “Christopher Nolan ha elaborato una nuova forma di cinema dinamico”. Le poltrone del cinema non facevano movimenti questa volta, eppure la sensazione che ho avuto è stata molto simile a quella di una ventina di anni fa. Nolan fa sperimentare allo spettatore la guerra reale, amplificando l’attivazione empatica e la capacità di immedesimazione dello spettatore attraverso una serie di accorgimenti estremamente originali e l’uso di un linguaggio essenziale, puro, magico, delicato ma evocativo, come una poesia di Ungaretti.
Il tempo
Il tempo è il protagonista assoluto di questa pellicola. Innanzitutto la narrazione si svolge completamente nel qui ed ora. Tutto succede nel presente: nessun personaggio racconta la propria storia, né ciò che vorrebbe fare o chi vorrebbe rivedere se riuscisse a salvarsi e a tornare a casa. Passato e futuro non esistono, solo i boati delle bombe e dei siluri, i corpi sdraiati sulla sabbia o che galleggiano in mare, immersi nel carburante delle navi affondate, con la minaccia del fuoco che potrebbe divorarli.
La differenza di tempo viene annullata facendo convergere tre storie in un unico momento: una settimana trascorsa a terra dai soldati, un giorno trascorso in mare dai civili che li vogliono soccorrere, un’ora vissuta in aria dal pilota di uno Spitfire, diventano un tempo unico, relativo, in cui 60 minuti di volo sembrano lunghi un giorno, dove una settimana sembra essere durata solo 24 ore.
Infine ci sono le musiche di Hans Zimmer, a scandire il tempo come il ticchettio di un orologio, a dare velocità ai secondi più frenetici e a rallentare nei brevi momenti in cui la continua minaccia alla sopravvivenza è una consapevolezza sorda e non acuta.
I sensi
Nulla distrae lo spettatore. I dialoghi sono pochi, mentre le scene sono estremamente vivide e i suoni sono potentissimi. Si ha l’impressione di sentire la consistenza della schiuma spessa che c’è sul bagnasciuga, di sentire la sabbia sul viso, quando i soldati si sdraiano per ripararsi dai bombardamenti aerei, di sentire che il respiro manca, quando qualcuno finisce sott’acqua. È come se i personaggi fossero dei corpi in cui lo spettatore può entrare per vivere in prima persona ciò che essi stanno vivendo. Questo effetto è facilitato dalla loro scarsa caratterizzazione: noi possiamo essere loro, perché loro non hanno una storia, non sappiamo nemmeno come si chiamano.
I personaggi
Non c’è nessuna narrazione sui personaggi: chi erano prima della guerra, cosa hanno vissuto, qual è la loro personalità. Di loro si conosce solo ciò che succede nel lasso di tempo del film. L’unica definizione, ma non per tutti, è l’appartenenza al popolo francese o inglese. I tedeschi non si vedono mai, chiusi all’interno degli aerei oppure ombre che si muovono sullo sfondo, nel finale del film. La loro presenza a terra è mostrata solo attraverso il suono di proiettili che colpiscono lo scafo di una barca, nella quale sono rinchiusi dei soldati, in attesa della marea.
A differenza degli altri film di guerra, non è la sceneggiatura a decretare chi siano gli eroi. Tutti i personaggi sono uguali, vittime, persone che combattono per la sopravvivenza, nessuno spicca più di un altro. Ci sono dei personaggi che si vedono di più, a rappresentare i soldati a terra, i piloti degli aerei, i civili sulle imbarcazioni di salvataggio, ma nessuno ha l’aria di essere migliore o più forte di un altro. Lo spettatore può decidere: sono eroi quei ragazzi che hanno combattuto contro i tedeschi e cercano di aiutarsi l’uno con l’altro per non soccombere al nemico? I civili che rischiano le loro vite per portarli a casa? Il pilota che non si arrende neanche quando finisce il carburante del suo aereo?
Nel film sono i personaggi stessi a decretare chi è l’eroe della vicenda, alla fine, proprio colui che è apparso come meno attivo, quello che ha subito le conseguenze della guerra attraverso le azioni di un soldato amico, affetto da disturbo post traumatico da stress.
La guerra
La vera protagonista della pellicola di Nolan è la guerra. Una guerra descritta in modo fortemente impattante, benché non vi siano scene di arti amputati e crani esplosi e non si veda mai il sangue. La mancanza di elementi splatter, in un film che descrive le atrocità belliche è un’altra delle caratteristiche che fanno di questa opera un prodotto estremamente originale, soprattutto se si considera che dal primo all’ultimo minuto la tensione si mantiene estremamente elevata.
Dunkirk è un film unico, innovativo, rivoluzionario nel panorama cinematografico del genere. Un viaggio nel corpo, nella mente, nelle emozioni, che gli psicocinefili non possono non apprezzare.