C’era una volta a Hollywood: il cinema che cambia la storia
[Attenzione: spoiler]
È la seconda volta che mi capita di vedere un film di Quentin Tarantino e di pensare “Magari fosse andata così”. La prima volta che ho fatto esperienza di questa cognizione è stata dopo la visione di “Bastardi senza gloria”, che raccontava la storia del nazismo dandole un finale alternativo nel quale le vittime si trasformavano in carnefici e gli eventi del passato venivano reinterpretati sotto forma di nemesi.
Tarantino ci aveva già abituati ai temi della giustizia e della vendetta, ma la sua evoluzione di regista e sceneggiatore lo ha portato recentemente a raccontarli in una nuova forma, che definirei “anticipatrice” rispetto ai lavori precedenti. In “Kill Bill vol.I e II”, ad esempio, la vendetta della protagonista era “riparatrice” di torti e violenze già subite, in “Bastardi senza gloria” lo stop all’ingiustizia avviene ad ingiustizia iniziata, mentre in “C’era una volta a Hollywood” tutta la storia ha un corso alternativo e non vi è più una riparazione ma una totale reinterpretazione degli eventi, e delle loro relative conseguenze.
Sia in “Unglorious Bastards” che nel film in questi giorni nelle sale, è proprio il cinema a cambiare le storie di guerra e di cronaca del passato: nel primo è la proiezione di un film in un cinema parigino di proprietà di una donna ebrea a permettere di riunire i vertici del Terzo Reich, tra cui lo stesso Hitler, e a non permettere agli eventi storici successivi di realizzarsi; nel secondo, sono un attore e la sua controfigura, due perfetti anti-eroi, a riscrivere la vicenda della famigerata famiglia Manson.
Questa volta la riparazione non è parziale, non ci sono eventi che lasciano ferite psicologiche, come nella nemesi precedente, e per questo Tarantino può permettersi di inserire nel titolo il “C’era una volta”, perché davvero tutti possono vivere, al termine della narrazione, “felici e contenti”.
È interessante che un regista che ha fondato la sua filmografia sul trauma, sia arrivato dapprima, in qualche modo, a cercare di ripararlo e secondariamente ad anticiparlo, cercando di impedirgli di essere reiterato e infine, addirittura, di realizzarsi.
I film di Quentin Tarantino sembrano essersi spostati gradualmente dalla centratura sull’Es al dare spazio al Super-Io o essersi evoluti da una predominanza rettiliana a una maggiore presenza di quella limbica e neocorticale. Non tutti i suoi estimatori apprezzeranno questo cambiamento, ma un vero artista non rimane mai uguale a se stesso.
Il suo “modus operandi” può essere cambiato, ma la firma di Tarantino rimane la stessa: la sua narrazione continua ad essere “multipiano”, o con “effetto matrioska”, con tante storie nelle storie, con tante stratificazioni, parallele e sovrapposte.