Psychofilm

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Film psicologici e psicologia spiegata attraverso il cinema

Recensioni

Autopsy: il realismo di un film soprannaturale

È uscito nelle sale cinematografiche lo scorso marzo questo film di genere horror firmato dal norvegese André Øvredal, regista diventato famoso sette anni fa per un mockumentary di successo dal titolo “Troll Hunter” in cui veniva svelato l’occultamento da parte del governo norvegese dell’esistenza di una popolazione di troll in una zona remota del paese. 

Da un finto documentario girato a basso costo Øvredal è passato con “Autopsy” al cinema professionistico, avvalendosi della presenza di Kristyan Mallett (prosthetic artist che ha lavorato alla realizzazione di film come “Revenant -Redivivo” con Leonardo di Caprio, “Guardiani della galassia”, “Harry Potter e i doni della morte” e ha trasformato Eddie Redmayne in Stephen Hawking nel film biografico “La teoria del tutto”), e degli attori Hemile Hirsch (“Into the wild – Nelle terre selvagge”, “Milk”) e Brian Cox (“Braveheart – Cuore impavido”, “The ring”, “Troy”, “Matchpoint”, solo per citare alcuni degli innumerevoli titoli della sua filmografia).

“Autopsy” è un film claustrofobico, interamente girato all’interno di un obitorio, ubicato sotto l’abitazione dei due protagonisti, un padre (Tommy Tilden-Brian Cox) e un figlio (Austin Tilden-Emile Hirsch). La polizia consegna loro il cadavere di una sconosciuta (il titolo originale del film infatti è “The autopsy of Jane Doe”, termine utilizzato in America per indicare una donna non identificata), trovato sotterrato nella cantina di una casa i cui abitanti sono stati misteriosamente uccisi. I due medici legali portano il corpo nella camera mortuaria, a cui si accede attraverso un ascensore, e da questo momento in poi la telecamera di André Øvredal non lascerà più il cupo scantinato per le autopsie, fino agli ultimi minuti del film, benché il ritorno all’aria aperta del finale non risulti meno inquietante o più rassicurante delle sequenze precedenti della pellicola.

Tommy Tilden è un esperto medico legale che gestisce con il figlio Austin un obitorio in una città della Virginia. Austin è l’unico erede dell’attività familiare e Tommy lo ha preso sotto la sua ala per insegnargli tutto ciò che sa su questa difficile ma interessante professione. Subito vengono mostrate le differenze tra due generazioni: Tommy sembra essere completamente assorbito dal suo lavoro, unica cosa rimastagli dopo la morte della moglie, mentre Austin ha ancora tutto il suo futuro davanti e non sembra intenzionato ad ereditare oltre all’impresa famigliare e alla professione, anche la devozione totale e totalizzante del padre verso il lavoro. Ha una ragazza, e la sera in cui la polizia consegna loro il cadavere della sconosciuta, chiedendo aiuto per un’inchiesta importante ma che appare difficile e fumosa, vorrebbe uscire con lei, ma viene convinto dal padre a rimanere e ad aiutarlo con l’autopsia.

Avete presente quei sogni disturbanti in cui ci si trova a dover raggiungere una meta o partecipare a un evento importante e si viene ostacolati da mille imprevisti e distrazioni o a rimanere fisicamente rallentati? La sensazione che si prova quando Austin decide di aiutare il padre e rimandare a più tardi il suo appuntamento è un po’ questa: lo spettatore sente immediatamente che quella decisione non è buona e che il tempo di permanenza in quel luogo oscuro si dilaterà di certo, spostando in avanti inesorabilmente il raggiungimento della libertà.

Il film mostra con particolari non adatti agli animi sensibili la quotidianità del lavoro di medico legale, anche se presto questa quotidianità si allontana dalla routine e dalla normalità per sfociare nel thriller e nel soprannaturale, in modo molto originale però, lontano dai cliché dei film horror demoniaci o spettrali. Øvredal crea un clima angosciante continuo e sordo, senza l’utilizzo di scene da sobbalzo ma mantenendo una tensione costante attraverso una narrazione e alcuni espedienti scenici che permettono allo spettatore di immergersi nella storia con un effetto di estremo realismo.

L’accesso all’obitorio attraverso l’ascensore crea da subito un disagio in chi guarda: sembra una discesa verso gli inferi senza speranza di ritorno; l’atmosfera dello scantinato è cupa e pare quasi di sentire l’odore della morte e dei disinfettanti. La tensione aumenta e si trasforma in orrore quando viene insinuato cinicamente nello spettatore il dubbio che la giovane Jane Doe sia solo apparentemente morta e stia subendo le torture di un’autopsia senza poter mandare dei segnali ai due medici affinché posino il bisturi. Il dubbio viene subito trasformato nella sensazione di essere troppo suggestionabili, e lo spettatore si vergogna quasi quando emergono i primi dati clinici contrari a qualsiasi possibilità che la donna possa essere ancora viva.

Il coinvolgimento emotivo ed empatico del pubblico verso i personaggi della storia è straordinario e non casuale, sembra studiato nel minimo dettaglio: le inquadrature, la fotografia, la sceneggiatura, i suoni, si coordinano alla perfezione per destabilizzare, mettere alla prova, far partecipare con corpo e mente chi guarda. La tensione è costruita e mantenuta attraverso dettagli apparentemente semplici, come le interferenze della tempesta che imperversa all’esterno su una radio, il rumore di un condotto di aerazione, una goccia di sangue fuoriuscita dal naso del cadavere, uno sbalzo di corrente.

Viene tolta ogni possibilità di trovare vie di fuga o luoghi sicuri e lo spettatore rimane imprigionato con i protagonisti nell’obitorio minaccioso e claustrofobico con la consapevolezza che forse l’ascensore potrebbe non funzionare e anche se si riuscisse in un altro modo ad uscire, ci si troverebbe in un ambiente altrettanto ostile, in balìa del vento, dei fulmini e della pioggia scrosciante.

Ogni spiegazione razionale e scientifica a ciò che accade ai personaggi della storia deve essere gradualmente abbandonata da chi assiste alla proiezione, così come viene abbandonata dagli stessi protagonisti nel progredire della narrazione. È come entrare nella testa di Austin e Tommy e sentire con loro l’inesorabile caduta di qualunque certezza.

“Autopsy” è un film originale, di grande impatto, che riesce ad essere soprannaturale e psicologico allo stesso tempo e a creare una intimità profonda con il corpo e la mente dei protagonisti.

Laura Salvai

Sono psicologa, psicoterapeuta a orientamento cognitivo-comportamentale, sessuologa clinica e terapeuta EMDR. Amo le storie e mi piace scriverle, leggerle, ascoltarle e raccontarle. Sono la fondatrice del gruppo Facebook "PSYCHOFILM" e la proprietaria di questo sito. Il cinema è per me una grande passione da sempre, diventata con il tempo anche uno dei miei principali impegni professionali.