ToHorror Film Fest 2017 – I cortometraggi
[Attenzione Spoiler: vengono svelati particolari delle trame]
Sono stati 26 i cortometraggi in concorso Alla XVII edizione del TOHorror Film Fest e Psychofilm ne ha selezionati sei, diversi per stile e storie, ma altrettanto suggestivi:
“Dénominateur commun” (Quentin Lecocq, Francia, 2016) pone in primo piano una delle maggiori paure dell’uomo: la paura di non essere accettati. Ted è un giovane nerd che, per lavoro, testa farmaci in via di sperimentazione. Ha difficoltà di autostima e non riesce a instaurare un dialogo con la bella vicina di casa di cui è innamorato. Un giorno gli arriva la proposta di testare un nuovo medicinale che avrebbe la funzione proprio di aumentare l’autostima delle persone. Ted lo prende e si sdoppia: il secondo Ted è esattamente come lui, con la differenza che, comprendendo appieno le sue difficoltà, si propone di usare la sua dimestichezza con le nuove tecnologie per guidare il primo Ted nel corteggiamento della vicina, cercando su di lei le informazioni presenti in rete. Tramite un auricolare e con l’ausilio di un buon motore di ricerca in internet, Ted II suggerisce a Ted I come comportarsi con la ragazza e cosa dirle, in base ai suoi gusti e alle sue idee. Il corto sembrerebbe suggerire che per poter essere accettati e amati occorra mostrarsi non per quello che si è, ma per come pensiamo gli altri ci vorrebbero. La cosa però non può che sfuggire di mano, perché non si può a lungo mentire a se stessi e agli altri e il finale, che non vi svelo, può essere inaspettato.
“Le jour où maman est devenue un monstre” (Joséphine Hopkins, Francia, 2017) racconta la storia di una donna depressa, che non riesce più ad essere la madre di un tempo, dopo la fine del suo matrimonio. Candice ha 9 anni ed è felicissima per l’annunciata presenza del padre alla sua festa di compleanno. Non lo è altrettanto sua mamma che, da affettuosa e premurosa, è diventata in seguito al divorzio sempre più anaffettiva e assente. Candice non riesce ad accettare e comprendere il dolore della madre, in particolare non capisce perché non può essere felice e solare come nella foto con suo padre in salotto. In realtà, nemmeno sua madre riesce ad accogliere e comprendere la sofferenza della figlia per l’assenza del padre. Questo vuoto di comprensione non fa che renderle sempre più distanti. Al lavoro, la madre viene morsa da una tartaruga e questo produrrà la sua trasformazione in un vero mostro, che quasi arriverà a mettere in pericolo Candice. Il peggio verrà evitato quando la figlia, riuscendo ad andare al di là dell’aspetto mostruoso della madre (e simbolicamente del suo muro di dolore) tenterà un gesto di affetto, che rappresentava una loro antica abitudine (un gioco con la mano in cui una chiedeva all’altra se le volesse bene), gesto a cui il mostro-madre risponderà come un tempo. Il finale, pur rimanendo aperto, sembra trasmettere il messaggio che sentirsi amati in modo incondizionato e liberarsi dalla rabbiosa pretesa che l’altro si comporti come noi vogliamo, può permettere una reale comprensione e sintonizzazione emotiva e il recupero di un rapporto significativo, come quello tra una madre e una figlia.
Un cortometraggio sicuramente di impatto che ha meritato la “Menzione Speciale Cortometraggi”.
“Black Ring” (Hasan Can Dagli, Turchia, 2016) colpisce e disturba per il tema trattato, quello dell’arte che, per rappresentare la violenza, viene creata attraverso la violenza stessa. Un gruppo di persone si riunisce in una villa abbandonata. Tra queste ne vengono selezionate tre, che vengono uccise con una fucilata davanti a una tela, sotto lo sguardo compiaciuto dei presenti. Si scoprirà poi che ciò diventerà materiale per una mostra d’arte. Nel corto non è presente nessun dialogo, ma l’uso della musica e di certe inquadrature contribuisce a creare un clima di angoscia, sospensione, orrore e disgusto.
“Health, wealth and happiness” (Nic Alderton, UK, 2017), con ironia e sottile intelligenza, propone il tema del patto col diavolo, presente anche in uno dei corti del TOHorror 2016 (nello specifico, l’italiano “La leggenda della torre”, di cui rimando la lettura al mio articolo dell’anno scorso). Un ladro vuole derubare una donna che in realtà si rivela essere il diavolo e che gli propone tre desideri da chiedere e soddisfare in cambio della sua anima quando morirà. Il ladro non sa però che uno dei suoi desideri, con cui pensa di incastrare il diavolo, ossia quello dell’immortalità, gli si ritorcerà contro in modo inaspettato.
“Defunctionary” (Wiro Berriatua, Spagna, 2017) è un cortometraggio che, come il primo della serie “Dénominateur commun”, ha uno stile molto ironico e si discosta dal classico horror. Viene ipotizzato un aldilà in cui la vita e la dipartita delle persone sono interamente programmate. Ma cosa succede se uno degli addetti alla macchina della vita e della morte commette un errore e qualcuno muore in modo inatteso? È quello che succede ad Alberto che deve essere “reinserito” nella vita ma, per farlo, deve attraversare i passaggi di una bizzarra e imbranata burocrazia fatta di strani personaggi.
Infine “Lost Face” (Sean Meehan, Australia, 2016), adattamento di un racconto di Jack London, racconta la storia di un ladro di pellicce che, catturato da un gruppo di indiani, sta per fare la stessa fine dei suoi compagni, ossia essere ucciso in modo lento e atroce. Per cercare di sfuggire a questo destino, sfrutta la brama umana di potere, e dice al capo tribù che se lo risparmierà gli rivelerà la ricetta di una sostanza che, se spalmata addosso, permette di essere immuni ai colpi inferti dal nemico. Nonostante le perplessità del saggio della tribù, il capo decide di dar retta al ladro che in realtà lo ingannerà, facendogli perdere la faccia di fronte al suo gruppo (la paura di essere disonorati è un altro grande tema umano doloroso).